Camminare in una città fantasma
Il silenzio e il senso di precarietà che ti assale mentre cammini per le strade di Craco è indescrivibile. Dalla piazza del paese, un tempo luogo di festa e di condivisione, si sale per le vie ripide e le scale diroccate verso la chiesa, di cui resta solo il ricordo della pace e del raccoglimento dei fedeli sotto la cupola squarciata che lascia entrare la luce del nuovo giorno. Dalla balconata del paese, ci si sente circondati dai calanchi, che si estendono a perdita d’occhio come se fossi l’ultimo ricordo di un’antica civiltà su un pianeta sperduto in una galassia lontana lontana…
Esatto: passeggiare per Craco potrebbe ispirare “avventura”, come se ci trovassimo su un set post-apocalittico di qualche storia distopica di pura fantasia. E invece è reale, e lo percepisci ogni volta che metti il piede su una pietra che non resta ferma al tuo passaggio.
Camminare per Craco ha il sapore di una lezione da apprendere con rispetto e umiltà, prendendo coscienza che siamo ospiti di una natura che ha regole più antiche di noi e che non sempre è disposta a lasciarsi governare. Le frane che spinsero i circa 2.000 abitanti a lasciare le loro case non furono dovute a disastri naturali inattesi, ma ai lavori di ristrutturazione e modernizzazione dell’abitato, al campo da calcio, a un muro per la raccolta delle acque, a un nuovo impianto fognario e ad altri piccoli errori realizzati a beneficio dell’uomo che non avevano tenuto conto dei 30 metri di terreno argilloso su cui erano poste le fondamenta delle abitazioni.
La prima frana fu nel 1963, ma per fortuna, un esodo programmato e sena troppi clamori permise di ultimare lo spostamento in sicurezza, senza che vi fossero disastri o storie tristi da raccontare. SI narra che l’ultima famiglia a lasciare il centro abitato sia stata quella del sindaco, come un capitano che lascia per ultimo la nave che affonda.
Camminando per le stradine del borgo, viene in mente l’immagine dell’attore lucano Rocco Papaleo che, nel film Basilicata coast to coast, racconta
“Craco è stata abbandonata in seguito a una frana accentuata dalla costruzione di una nuova rete fognaria…
Non ha retto alla modernità.
A me piace pensare che l’ha rifiutata”
Secondo me, questo è il monito principale che ci si porta a casa dopo aver camminato per queste vie, e per cui è un bene che il borgo sia visitabile: non per la curiosità di camminare in un paese fantasma, ma per tenere bene a mente che non è possibile una coesistenza terrena quando non c’è equilibrio tra le leggi dell’uomo e quelle della natura.
Siamo qui per custodire il creato, non per trasformarlo a nostro beneficio: ogni violenza, prima o poi, ci si ritorcerà contro.
La storia di Craco
Le prime tracce di Craco risalgono all’VIII secolo a.C., periodo in cui ha probabilmente offerto asilo alle colonie greche di Metaponto che fuggivano dall’ondata di malaria delle pianure: la conformazione di questi luoghi offriva un rifugio sicuro e una buona visuale sul territorio.
Nel X secolo, i monaci bizantini si dedicarono all’agricoltura, da cui si pensa derivi il nome del borgo: Graculum, infatti, vuol dire “piccolo campo arato“.
La struttura urbana costruita attorno al torrione quadrato che domina la rocca è tipica dell’epoca medievale. La torre normanna di Craco divenne, nell’era di Federico II, era una delle barriere di protezione a guardia dei due fiumi Covone e Agri, che venivano utilizzati per penetrare il territorio.
Nel 1276 Craco divenne sede di una universitas, o “università del Regno” (da universi cives, “unione di tutti i cittadini”, ovvero la versione angioina dei “comuni”). Negli anni fi venduto e ceduto diverse volte, fino alla fine della feudalità, nel 1806. Gli ultimi proprietari, la famiglia dei Vergara, portano ancora oggi il titolo di “duca di Craco“.
Nell’800, come gran parte di comuni lucani, anche Craco fu terreno di brigantaggio. Le storie narrano del crachese Giuseppe Padovano, ex soldato borbonico che divenne brigante col soprannome di “Cappucino”, in quanto da giovane aveva frequentato il monastero di Craco. Rispetto alla situazione di analfabetismo del resto della popolazione del territorio, Padovano spiccò proprio perché uomo di cultura.
Un’altra leggenda racconta che, nel novembre 1861, durante i moti borbonici successivi all’unità d’Italia, i briganti guidati da Carmine Crocco e José Borjes che si stavano dirigendo verso Craco, vennero intercettati lungo la via da una processione di donne e bambini che chiedevano clemenza per il loro paese… e pare che la spuntarono!
La fuga da Craco
Dopo la frana del 1963, i 2000 abitanti vennero trasferiti nella località Craco Peschiera, che si può incontrare sulla strada che si percorre per arrivare al borgo antico. Qui furono trasferiti anche gli uffici comunali.
La speranza di fare ritorno nel borgo originale svanì quando le situazioni di pericolo create dagli smottamenti e dalle frane peggiorarono a seguito dell’alluvione del 1972 e del terremoto del 1980, che compromisero l’integrità strutturale dell’intero paese.
Da borgo a museo
Nel 2010, il borgo è entrato nella lista dei monumenti da salvaguardare redatta dalla World Monuments Fund ed è oggi un Parco Museale Scenografico: visite guidate permettono di visitare parte del paese e di conoscerne la storia. A completare la visita, il monastero di San Pietro ai piedi del colle, oltre alla biglietteria e ai bagni, ospita un “museo emozionale” con mostre permanenti di fotografie e filmati sulla storia di Craco.
La mia opinione personale è che non aggiunga molto alla visita del borgo, se siete già arrivati con un minimo di preparazione su ciò che state per vedere, mentre può essere un buon modo per ingannare il tempo se siete in anticipo rispetto all’orario della vostra visita. Ritengo doveroso segnalare che le guide che vi accompagneranno, dopo avervi fatto indossare cuffia ed elmetto, sono professionali e preparatissime!
Da museo a set cinematografico
Senza saperlo, molto di voi avranno già visto Craco, che negli ultimi anni ha fatto da set a piccole e grandi produzioni come:
- Cristo di è fermato a Eboli di Francesco Rosi (1978)
- Il sole anche di notte dei fratelli Taviani (1990)
- Ninfa plebea di Lina Wertmüller (1996)
- La Passione di Cristo di Mel Gibson (2004)
- Nativity, di Catherine Hardwicke (2006)
- Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo (2010)
Informazioni
Il parco è un museo a cielo aperto e quindi è soggetto a problemi di accesso di vario genere, primo tra tutti le condizioni meteo avverse. Vi consiglio, quindi, di prendere contatto prima di recarvi sul posto in autonomia e di prenotare in anticipo la vostra visita.
Per informazioni, orari e prezzi, consultate il sito
I Calanchi
Il paesaggio lunare che, a un primo impatto, potrebbe sembrare ostile all’uomo, che circonda Craco è caratterizzato dai calanchi.
Si tratta di erosioni spettacolari dovuti all’erosione delle acque piovane e del vento su un terreno collinare argilloso per lo più privo di una vegetazione che ne preservasse l’integrità.
I solchi che si formano scavano ripide gole che si moltiplicano e si ramificano creando un ambiente suggestivo nel quale l’uomo, per realizzare le proprie vie di comunicazione, ha dovuto insinuarsi con infrastrutture discrete e contorte, per poter seguire la conformazione geologica nella speranza che non venissero rigettate, come è avvenuto per il borgo di Craco.