Ogni città nasconde dei segreti, ma Bologna ne ha fatto un’attrazione turistica. Il primo mistero è… quanti sono i misteri! Infatti, ci si riferisce a loro come “i 7 segreti di Bologna”, ma spulciando le varie guide e ascoltando le storie popolari ne ho trovate un po’ di più.
Alcuni segreti sono vere e proprie curiosità per un turista, altre sono semplici fatti e infine ce ne sono alcune che non ho trovato neanche passando al setaccio tutta la zona indicata. Eccovi una carrellata!
La piccola Venezia
Il primo segreto è facile da trovare, ed è tutt’altro che un segreto: arrivando in via Piella non potrete non notare una fila di persone che, armate di macchina fotografica o telefono, aspettano pazientemente di immortalare un “muro”.
A ben guardare, al centro del muro, fin troppo vicino a dei poveri commensali che stanno mangiando in un piccolo ristorante, c’è una “finestrella“, ovvero uno sportellino quadrato che, se aperto, scopre una vista bizzarra: vi sembrerà di aver aperto un varco verso un canale di Venezia!
In realtà si tratta di una vista su uno dei canali tipici di Bologna che, in età medievale, trasportavano capillarmente l’acqua dal torrente Savena e dal fiume Reno per agevolare i trasporti e muovere le ruote dei mulini ad acqua. Successivamente, i canali vennero coperti, ma ancora oggi l’acqua scorre sotto le strade della città e a volte affiora a cielo aperto, come nel caso del Canale delle Moline, che si può ammirare attraverso la finestrella.
Se preferite altre prospettive, o semplicemente volete risparmiarvi la fila, potete affacciarvi dai ponticelli di via Malcontenti (e fotografare i volti stupefatti di chi apre la finestrella dall’altra parte) o di via Guglielmo Oberdan.
Le 3 frecce
Camminando per la strada Maggiore, presso il civico 26, ci si imbatte in un portico molto ampio con soffitto in legno: è l’ingresso di Corte Isolani. Scrutando verso l’alto, con molta pazienza, si possono vedere 3 frecce conficcate nel legno.
La leggenda narra che un nobile signore dell’epoca, scoperto che la moglie aveva un amante, assoldò 3 sicari per uccidere in un agguato il rivale in amore. La scaltra nobildonna, accortasi della trappola, nell’istante prima dello scoccare delle frecce lasciò cadere le vesti restando nuda alla finestra. Tanto bastò ai 3 assassini per sbagliare il colpo, e lo prova il fatto che le 3 frecce scoccate siano ancora lì!
Vi confesso che ci sono voluti una decina di minuti col naso all’insù e tanta pazienza, specialmente con il faro del soffitto puntato in faccia, e alla fine sono riuscito a trovarle tutte e 3!
L’erezione del Nettuno
Cose strane si vedono in Piazza del Nettuno…
Il Gianbologna (pseudonimo di Jean de Boulogne) fu chiamato dal legato pontificio Pier Donato Cesi a realizzare la monumentale statua del dio Nettuno sulla fontana dell’omonima piazza, di fronte a Piazza Maggiore, a rappresentare il dominio del papa Pio IV. Il dio tende una “possente” mano in avanti per calmare le acque, mentre i 4 putti che lo circondano rappresentano il Nilo, il Gange, il Danubio e il Rio delle Amazzoni.
Leggenda narra che, essendo infastidito dalle continue direttive della chiesa, Giambologna nascose nella statua un segreto che veniva rivelato solo grazie a un gioco di prospettive: collocandosi alle spalle di Nettuno, in un punto preciso, il pollice estremamente ingombrante della mano spunta dal corpo della statua come se fosse un’erezione.
Inutile dirvi che non pubblicherò un’erezione sul mio sito e quindi, se siete curiosi, ve lo andate a vedere da soli!
Il punto di osservazione è una pietra più scura delle altre ai piedi delle scale d’ingresso della Sala Borsa. Per quanto detto, prende il nome di Pietra della Vergogna.
Il segreto della cultura
Si dice che sul tavolo della sede dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, situata a Palazzo Poggi, ci sia una scritta latina che attesta che la conoscenza è alla base di tutto: “Panum resis”.
Se voleste verificare (io non l’ho fatto, confesso!) potete recarvi al civico numero 33 di via Zamboni.
Il telefono senza fili
Siamo in Piazza Maggiore e ci infiliamo sotto le volte del Palazzo del Podestà, il bellissimo complesso architettonico posto di fronte a San Petronio. Le due strade che attraversano la base si incrociano al centro formando il cosiddetto Voltone del Podestà, una volta a crociera sorretta da 4 pilastri con i santi protettori della città. In questo luogo, storicamente, si eseguivano le impiccagioni.
Attraversandolo oggi, invece, vi capiterà di scorgere scene alla “The blair witch project”, con persone schiacciate contro gli angoli che parlano verso la parete… niene paura, stanno solo testando l’effetto acustico del Voltone, per cui le parole sussurrate in un angolo vengono udite chiaramente nell’angolo opposto.
Non vi so dire se questo effetto fosse voluto dagli architetti oppure se ci troviamo di fronte a una botta di fortuna, ma le cronache ci dicono che venne utilizzato dai frati per confessare i lebbrosi senza doversi avvicinare fisicamente.
Comunque, a mio parere, il vero segreto è il fatto che la torre dell’Arengo, che spicca sulla sommità del palazzo, non poggia su solide fondamenta, come ci si aspetterebbe, bensì proprio sugli archi del voltone e sui 4 pilastri che lo sostengono.
Strani incantesimi sul soffitto
Se arrivate a Bologna dalla stazione e volete dirigervi verso Piazza Maggiore, non potete non percorrere via Indipendenza coi suoi maestosi archi. Alla fine della via, sul soffitto dell’arco di sinistra (guardando Piazza del Nettuno) potrete leggere delle particolari iscrizioni in latino che ricordano gli incantesimi di Minerva McGranitt:
“PANIS VITA” – “VINUM LAETITIA” – “CANABIS PROTECTIO”
Letteralmente, dovrebbe significare “il pane è vita“, “il vino è gioia” e “la cannabis è protezione“. Forse era un tentativo di trovare la ricetta per la felicità, proteggendosi dalla fame, dal dolore e dai brutti pensieri… o forse era un omaggio ai prodotti del commercio che portarono denaro alle casse della città contribuendo alla sua crescita.
La testa del diavolo
Camminando su via Santo Stefano, poco distante dal meraviglioso complesso delle Sette Chiese, vi troverete a passare davanti a palazzo Bolognini Amorini Salina, con la sua tipica facciata rossa costellata dagli archi del portico. La caratteristica di questo palazzo è la presenza di diverse teste scolpite in rilievo che osservano i passanti. Ci sono anche degli angioletti a far numero…
Ma se osservate bene, una delle teste ha uno strano ghigno e delle piccole corna: c’è chi ci vede un satiro, chi un demone e chi si spinge a dire che sia la testa del diavolo!
Su una torre c’è un vaso…
Si racconta che sulla sommità della Torre degli Asinelli ci sia un vaso rotto.
Lo confesso: dopo aver calpestato i 498 scalini mi sono messo a cercare il vaso. Niente, mi dispiace… nessun vaso!
Se qualcuno lo trova, mi mandi una foto perché ci sono rimasto male!
Chiaramente, non lo chiedo agli studenti universitari, poiché è noto il mito della sciagura negli studi per chi sale fino alla cima.
Il bello di questo mito, però, è il significato: il vaso rotto simboleggia la capacità degli abitanti di Bologna di trovare una soluzione di fronte a qualsiasi problema.
…e su un’altra c’è una scritta!
Sul lato orientale della Torre Garisenda c’è una lapide che riporta un verso del XXIII Canto dell’Inferno di Dante:
«Qual pare a riguardar la Garisenda sotto il chinato quando un nuvol vada sovr’essa sì ch’ella in contrario penda, tal parve Anteo a me, che stava a bada di vederlo chinare…»
Siamo nel “Pozzo dei giganti”, che hanno la colpa di essersi opposti a Dio. Dante, per rendere la figura del gigante Anteo che sporge dal pozzo, lo paragona alla torre Garisenda. Effettivamente, se salite sulla Torre degli Asinelli e guardate la Garisenda dall’alto, non potete non notare una certa “pendenza”!
I portici di San Luca
Per raggiungere il Santuario della Madonna di San Luca da Bologna è stato realizzato il portico più lungo al mondo, coi suoi quasi 4 chilometri.
La lunga via si snoda dalle mura del centro città e sale fino al Colle della Guardia, ai piedi del santuario, come un serpente malvagio la cui testa viene schiacciata dal piede di Maria (figura tipica dell’iconografia dell’Immacolata Concezione in cui il bene trionfa sul male).
Proprio a rafforzare questa immagine del serpente malvagio, il portico è costituito da 666 archi, ovvero il “numero della bestia” citato nell’Apocalisse di Giovanni.
L’urlo di pietra
Questo, per me, resta uno dei più grandi misteri di Bologna ed è per questo che lo metto in questa pagina.
Nella chiesa di Santa Maria della Vita, nel Quadrilatero di Bologna, c’è un gruppo di 7 figure in terracotta di Nicolò dell’Arca.
Si tratta di una delle più belle rappresentazioni mai realizzate del “compianto sul Cristo morto“, tanto che un giovane D’Annunzio, di fronte a esso, si domandò “Puoi tu immaginare cosa sia l’urlo pietrificato?”.
In altri luoghi o in altri contesti, una tale opera d’arte sarebbe esaltata e rappresenterebbe l’opera prima di qualche ala museale, con file alle biglietterie o la necessità di prenotare con giorni di anticipo per poter accedere ad ammirarla… e invece il grande mistero è che le 7 statue sono in una cappellina laterale di questa chiesa, coperte alla vista dell’assemblea da un separè, ma accessibile alla visita con un biglietto di pochi euro.
Se pensate che la mia sia una critica negativa, vi sbagliate di grosso: l’opera è collocata nel posto originario per cui fu pensata dall’artista ed è un esempio di come l’arte non sia un gioco d’elite da scardinare dal suo contesto e rinchiudere in un ambiente asettico, ma piuttosto resti un elemento dell’ambiente e della vita quotidiana per tutti coloro che, nei gesti di ogni giorno, possano viverla e trarne beneficio per gli occhi e per lo spirito.
La tagliatella d’oro
Una leggenda afferma che mastro Zefirano, per il matrimonio di Lucrezia Borgia, si ispirò ai suoi capelli biondi per inventare le tagliatelle bolognesi.
Storicamente, il 16 aprile 1972 la Confraternita del Tortellino e l’Accademia Italiana della Cucina, depositarono presso la Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna la ricetta della “Tagliatella di Bologna”, corredata addirittura dalle misure con cui doveva essere realizzata.
E per essere sicuri che le misure fossero rispettate senza interpretazioni, in una teca del Palazzo della Mercanzia è custodito il prototipo in oro della tagliatella, che cruda deve avere una larghezza di 7 mm in maniera che, una volta cotta, arrivi a misurare 8 millimetri, pari alla 12.270a parte della misura dell’altezza della Torre degli Asinelli.
…e poi guardano me come maniaco quando ordino le mollette per i panni secondo il colore e il materiale!