La terra dei sapori!
Viene definita così, l’Emilia-Romagna: la regione che unisce la tradizione culinaria all’innovazione e alla capacità di produrre eccellenze famose in tutto il mondo! La cucina tipica vanta ricette replicate e imitate in tutto il mondo… a volte, purtroppo, con scarsi risultati! Ingredienti unici e genuini di una terra di pascoli e di coltivazioni.
Qualcuno la chiama anche “la dispensa d’Italia”, e allora facciamo una carrellata dei piatti da non perdere assolutamente, anche se già lo so che sarà riduttivo!
Ah… dimenticavo! Non pensate di conoscere il sapore del vero tortellino o del ragù originale se almeno una volta non lo avete assaggiato sul posto: da quel momento avrete un nuovo metro di paragone!
Prosciutto di Parma
Mi sento quasi sciocco a parlarvi del prosciutto più conosciuto al mondo dall’inconfondibile gusto dolce. Il prosciutto di Parma è – ovviamente – tipico della provincia di Parma, a pochi chilometri dalla via Emilia. Gli unici ingredienti con cui viene realizzato sono carne di maiale, senza additivi né conservanti. L’unico conservante ammesso è il sale. La tecnica di produzione odierna veniva descritta già da Catone nel II secolo a.C.
L’altra caratteristica che lo rende riconoscibile è la “corona“, ovvero il marchio a fuoco che viene impresso solo sull’originale.
Mortadella di Bologna
Vita dura per i maiali in questa regione: un’altra eccellenza del territorio conosciuta in tutto il mondo è la Mortadella di Bologna, o semplicemente “mortadella“! Rosa, profumata e dal gusto inconfondibile, è tutelata dal Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna, che dal 2001 riunisce i produttori dell’area e vigila sui processi di produzione. La denominazione “Mortadella Bologna” è stata introdotta nel 1998 per identificare l’Indicazione Geografica Protetta (IGP) a livello europeo. Non è raro, all’estero, sentir parlare di “bologna” intendendo proprio la mortadella.
La Bologna è realizzata esclusivamente con carne suina di prima scelta e lardelli di qualità e può essere sia nella versione originale, sia con i pistacchi.
Mangiata a fette con le tigelle o sullo gnocco fritto, oppure utilizzata come ingrediente nella maggior parte dei piatti della tradizione (a partire, chiaramente, dai tortellini), è veramente difficile, da queste parti, farne a meno!
Il Parmigiano Reggiano
Un posto d’onore al formaggio per eccellenza: chi non ha mai chiesto del “parmigiano” da mettere sulla pasta? E quelle scagliette o quei petali sui buffet degli antipasti da accompagnare al prosciutto? Senza contare i mille e più modi per utilizzarlo come ingrediente di ricette più articolate!
Si produce tra le province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna ed è protetto dalla denominazione DOP. Le origini risalgono al XII secolo e la sua nascita è collocata nell’area delle abbazie benedettine e cistercensi situate fra Reggio Emilia e Parma. Viene prodotto con vacche di razza Reggiana rossa oppure Frisone.
Con 3,8 milioni di forme, è il terzo formaggio italiano per produzione dopo il Grana Padano e il Gorgonzola.
Una forma di formaggio Parmigiano Reggiano pesa, mediamente, sui 40 kg. Per produrla, servono circa 550 litri di latte con una media di 14 litri per ogni chilogrammo di formaggio prodotto. La stagionatura minima prevista per ogni forma è di 12 mesi.
Il Parmigiano Reggiano è il formaggio italiano più imitato nel mondo.
La pasta fresca
L’Emilia-Romagna conserva ancora la tradizione delle “sfogline“, vere e proprie combattenti dedite a tirare una sfoglia di pasta all’uovo sottile e ruvida, che viene utilizzata come base per i principali piatti della tradizione! L’arte della sfoglina nasce da tempi antichi, quando saper fare la pasta in casa voleva dire sfamare e nutrire l’intera famiglia risparmiando. Si partiva da acqua, farina e uova e poi ci si sbizzarriva a tirare, piegare, fare fagottini precisi per non sprecare nulla. A Bologna per un chilo di farina si utilizzano dieci uova intere e la sfoglia va tirata sottile, al massimo mezzo millimetro.
Uno dei segreti di Bologna narra che negli archivi della Camera dei mercanti ci sia il modello in oro della tagliatella, con i suoi 8 mm di spessore!
Siamo grati a quest’arte, oggi, per le lasagne, i tortellini, le tagliatelle e tutti gli altri formati inventati a partire da questa base.
Il vero ragù
Spesso si confonde il classico ragù commerciale col vero ragù emiliano. Se non l’aveste mai assaggiato, vi basti vedere la lista degli ingredienti necessari a prepararlo:
- 300 grammi di polpa di manzo macinata grossa,
- 150 grammi di pancetta di maiale,
- 50 grammi di carota,
- 50 grammi di costa di sedano,
- 50 grammi di cipolla,
- 300 grammi di passata di pomodoro o pelati,
- mezzo bicchiere di vino bianco secco,
- mezzo bicchiere di latte intero,
- brodo,
- olio d’oliva o burro,
- sale e pepe.
La lasagna storica
La lasagna è una delle paste più antiche della nostra terra: pare che i romani avessero addirittura una pentola speciale, chiamata lasanum, per prepararla, e che il termine latino “laganum” stava ad indicare delle sfoglie di farina di grano, cotte al forno oppure sul fuoco e farcite con della carne.
Una ricetta risalente al XIV secolo descriveva una pietanza formata dall’alternarsi di starti di pasta e di formaggio… probabilmente questa antenata, unita all’antica ricetta romana, diede vita, nel ‘600, alla lasagna bolognese, successivamente codificata a Bologna solo nel ‘900.
I piatti della tradizione
Spassionatamente devo dirlo: l’Emilia-Romagna dà il suo meglio con l’arte della pasta e dopo un’abbuffata dei primi tipici non resta molto spazio per gustare i secondi. Eppure ci sono delle eccellenze che vanno segnalate per un tour culinario completo!
Il tortellino
Si dice che quando un bolognese in viaggio riesce a vedere San Luca (il santuario sul Colle della Guardia), sa di essere tornato a casa. Allo stesso modo, un detto afferma che la sfoglia per il tortellino è ben tirata quando, sollevandola, si riesce vedere San Luca attraverso di essa! Ma non basta: il numero di uova e la proporzione con acqua e farina dipende dal clima intorno… il vero tortellino è una piccola opera d’arte e un gesto d’amore!
Bologna e Modena se ne contendono la paternità, dando luogo a diverse teorie sulle origini di questo piatto. Tortellino (o, come si dice in dialetto, “turtlén”) sembrerebbe significare “piccola torta“. Le prime tracce scritte risalgono al 1112 con il ritrovamento di una pergamena e, successivamente, nel 1169 con una bolla di Papa Alessandro III.
Una delle leggende – quella che preferisco – narra di Venere, Bacco e Marte che, dopo una dura battaglia, si riposano presso la locanda Corona a Castelfranco Emilia, paese conteso fra Bologna e Modena. Il giorno dopo, il locandiere riuscì a scorgere Venere senza vesti e rimase talmente infatuato dal suo ombelico da volerne ricreare un modello utilizzando la pasta sfoglia.
Da un punto di vista più storico, invece, la Dotta Confraternita del Tortellino depositò presso il Palazzo della Mercanzia la ricetta del ripieno del vero tortellino il 7 dicembre 1974, mentre dal 15 aprile 2008 un atto notarile descrive le sue caratteristiche tipiche.
Gli ingredienti e le loro proporzioni per il ripieno:
3 uova di gallina300 gr di lombo di maiale300 gr di prosciutto crudo300 gr di vera mortadella di Bologna450 gr di parmigiano Reggiano dopnoce moscata q.b. (è chiaro che sarà quel “quanto basta” a rovinare tutta la precisione!)
Non vi stupite, quindi, se passeggiando per Bologna vedrete tortellini freschi venduti a 40 € al chilo! Se pensate di acquistarli per portarli a casa, attrezzatevi per tempo con borse frigorifero e ghiaccetti, perché la mortadella in viaggio regge al massimo un paio di ore!
E come riconoscerli? A volte, per comodità, troverete forme diverse, come i “cappellacci” o le “caramelle” (non so se il nome sia proprio questo, ma sono forme che li ricordano sicuramente).
La lasagna
Sembrerebbe il modo più semplice di utilizzare la sfoglia, ma già appena ti viene messa nel piatto capisci che l’avevi sottovalutata! Per crearla vanno messe insieme 3 prime donne: la sfoglia di pasta fresca all’uovo, il ragù bolognese e la besciamella.
L’elemento distintivo per riconoscere la vera lasagna emiliana è la presenza della “sfoglia verde“! Si, il verde è dato dalla presenza degli spinaci nella sfoglia e sta a testimoniare la storia di un piatto che veniva utilizzato per “riciclare” quello che si aveva in casa e dare nutrimento in tempi di difficoltà. Dapprima gli spinaci venivano alternati alla sfoglia bianca, fino a divenirne parte.
Come per il tortellino e altre prelibatezze emiliane e romagnole, nel 2003 l’Accademia Italiana della Cucina, depositò presso la Camera di Commercio di Bologna la ricetta originale della lasagna alla bolognese fatta con la sfoglia verde!
Ah, dimenticavo… se è sottile e pesa poco, è un falso!
Le tagliatelle
Cosa accade se, presa la sfoglia di cui sopra, la arrotoliamo e tagliamo delle striscioline? Lo so che lo sapete tutti, ma volevo sottolineare la semplicità con cui, dal verbo “tagliare“, nascono le “tagliatelle”!
Se ne ha notizia già dal ‘500 e sembra che abbiano avuto un’origine che e accomuna alle lasagne, infatti si parlava di “lasagnuolle”, forse perché derivate dal taglio della sfoglia delle lasagne.
Il 16 aprile 1972, l’Accademia italiana della cucina, depositò presso la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna la ricetta e la misura della vera tagliatella di Bologna. Uno dei segreti della città è proprio la presenza di un campione di tagliatella in oro che dovrebbe ancora essere presso la Camera della Mercanzia. La vera tagliatella cruda dovrebbe misurare 7 mm di larghezza affinché, una volta cotta, questa passi a misurare 8 mm, pari alla 12.270ª parte della Torre degli Asinelli. Lo spessore, ahinoi, non è stato codificato!
In Emilia, e specialmente a Bologna, la ricetta classica vede le tagliatelle siano condite con il ragù bolognese e coperte con abbondante Parmigiano Reggiano.
In Romagna, ispirandosi alla sfoglia verde della lasagna, vengono spesso preparate verdi aggiungendo gli spinaci all’impasto. Quando si mischiano tagliatelle bianche e verdi nasce il cosiddetto paglia e fieno. All’immancabile Parmigiano Reggiano può essere sostituito il formaggio di fossa.
Gnocco fritto
Non c’entra nulla con gli gnocchi di patate: si tratta di pasta di pane fritta, realizzata con una sfoglia sottile e ariosa che nell’olio bollente si gonfia in tutta la sua morbidezza.
Si può mangiare ripiena di salumi e formaggi e spesso viene proposta con ripieni fantasiosi come antipasto.
Ma attenzione agli omonimi: se lo gnocco, anziché fritto, vi venisse proposto “ingrassato” (ad esempio a Reggio Emilia o Modena), vi starebbero servendo una focaccia cotta al forno farcita con lardelli di maiale.
Erbazzone
L’erbazzone o scarpazzone (in dialetto Scarpasòun) è un’antichissima torta salata tipica del Reggiano, realizzata con farina, strutto e sale e ripiena di biete lessate, cipollotti, aglio, pezzetti di lardo, Parmigiano Reggiano, prezzemolo, sale e pepe.
La ricetta risale al Medioevo e costituiva il pasto unico dei contadini che potevano mangiare continuando il loro lavoro nei campi. Il nome deriva dal fatto che spesso si utilizzavano anche le parti dure della costa bianca della bietola (in dialetto: “scarpa”).
Cotoletta alla bolognese
Non fate l’errore di entrare in un ristorante di Bologna e chiedere una cotoletta alla milanese!! Bologna ha la sua cotoletta, detta anche “cotoletta Petroniana“, in onore di San Petronio. Si prepara dal 1600 ed è considerato un piatto nobile, da portare sulle tavole importanti.
Si prepara con la fesa di vitello precedentemente marinata con limone, sale e pepe, battuta, impanata e fritta nel burro (qualcuno sostiene che la tradizione vorrebbe la sugna) e poi arricchita con prosciutto crudo e Parmigiano Reggiano che viene sciolto terminando la cottura con alcuni cucchiai di brodo che contribuiscono anche a rendere la carne più morbida.
Non è un piatto dietetico, potete capirlo da soli, ma solo il profumo, quando vi viene servita, vale la fatica che farete in palestra per smaltirla!
Zuppa inglese
Avete presente quando all’improvviso ti cadono a terra tutte le certezze? È quello che succede quando scopri che la zuppa inglese è una ricetta romagnola!!
La leggenda risale al XVI e narra che un diplomatico italiano, appena tornato a Ferrara da un viaggio a Londra, chiese ai cuochi della corte dei duchi d’Este di replicare il dolce trifle. I cuochi, non avendo sotto mano gli ingredienti, fecero un mezzo casino utilizzando il pan di Spagna inzuppato nell’Alchermes anziché la pasta inglese originale, e sostituendo la crema pasticcera alla panna. Si presero poi delle libertà aggiungendo il cacao. Nacque così, in Romagna, la Zuppa Inglese!
Oggi ne esistono diverse varianti: il Pan di Spagna può essere sostituito con i Savoiardi (sempre inzuppati nell’Alchermes) e viene spesso coperto da una colata di cioccolato fondente.
C’è da dire che la paternità del dolce viene da secoli contesa con la Toscana, ma Pellegrino Artusi, nella sua opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, fa una distinzione tra la ricetta toscana e quella emiliana tracciando le differenze tra la crema toscana, più liquida, e quella emiliana che sembrerebbe più fedele all’originale.
Il mio consiglio personale è di assaggiarle entrambe per poter giudicare!
Tortellini o cappelletti?
A un occhio poco avvezzo potrebbero sembrare la stessa cosa, ma attenti a non confonderli se non volete essere presi per il turista della domenica!!
Simile al tortellino, il cappelletto si differenzia per il ripieno di magro, con formaggio tenero – ricotta o cacio raviggiolo – scorza di limone e noce moscata. Oltre al ripieno, hanno una diversa forma che ricorda più un piccolo cappello, maggiori dimensioni e pasta più spessa.
Un tempo veniva preparato dopo la quaresima ed era destinato alle tavole delle grandi occasioni.
L’area tra Ferrara, Cesena e Reggio Emilia se ne contende la paternità con le Marche.
Non solo Parmigiano
Oltre alla star indiscussa, l’Emilia Romagna offre diverse altre tipologie di formaggi. Alcune sono più caratteristiche di altre regioni, ma una buona parte della produzione viene fatta anche in questa terra:
- Formaggio di Fossa di Sogliano DOP,: può essere fatto con latte di vacca, pecora o misto. La caratteristica è che la stagionatura avviene in un sacchetto di tela messo in una fossa, a ricordo di quando venivano nascosti per evitare le razzie.
- Provolone Valpadana DOP: fatto con latte di vacca, ha una stagionatura che va da 30 giorni (versione dolce) a 16 mesi (versione piccante).
- Ribiola della bettola PAT: a pasta semidura, viene definito in dialetto “ribiol” (robiola) e veniva già menzionato dal Cardinale Alberoni, ministro del re di Spagna, nelle sue lettere di richiesta di prodotti tipici piacentini e parmensi: “Non mancate di inviare alcune Robiole chiamate da sua Maestà “della Bettola”.
- Squacquerone di Romagna DOP: formaggio grasso, fresco a pasta molle, con una stagionatura che non supera i 4 giorni ed è il re della piadina.
- il Pecorino dell’Appennino Reggiano PAT: nella collina reggiana il latte di pecora viene utilizzato per ottenere due tipologie di questo formaggio: a pasta tenera e a pasta semidura.
- Raviggiolo PAT: è un formaggio grasso, fresco, a pasta molle fatto con latte di vacca. Storicamente, veniva prodotto dalle famiglie che possedevano anche solo un vacca, in quanto la sua alta resa permetteva di non sprecare latte.
Altri piatti della tradizione
Oltre alla top list qui accanto, la tradizione dell’Emilia Romagna è ricca di piatti per tutti i gusti. Ve ne cito qualcuno di seguito, come al solito senza troppi dettagli per ragioni di spazio!
- Cappellacci di Zucca: tipici di Ferrara.
- Crescentine o Tigelle: focaccine tipiche come base per spuntini o per accompagnare i salumi. Il nome di tigelle, tipico della zona di Reggio, deriva da tradizionali dischi di terracotta o pietra refrattaria su cui venivano cotte.
- Piadina romagnola: sottile focaccia di farina di grano, strutto o olio di oliva, bicarbonato o lievito, sale e acqua, che viene tradizionalmente cotta su una lastra rotonda di terracotta, detto testo. Giovanni Pascoli la definì «il pane, anzi il cibo nazionale dei Romagnoli» e può essere farcita con ogni ben di Dio!
- Torta di riso: riso cotto lentamente nel latte, zucchero, uova, cedro candito e amaretto.
- Crescente: antica focaccia bolognese fatta con farina, acqua, lievito, strutto e sale. Spesso condita dai ciccioli, che sarebbero il residuo proteico del grasso del avanzato dalla realizzazione dello strutto.
- Zuppa imperiale: Piatto invernale composto da un brodo di carne caldo con cubetti di semolino, precedentemente cotti nel forno con burro, parmigiano e moscata.
- Polenta con le vongole: disponibile principalmente sulla costa.
- Brodetto di pesce alla romagnola: varia in base alla stagione, perché si tratta di un piatto povero dei pescatori che mettevano in un pentolone tutti gli scarti di pesce o ciò che avanzava dalla pesca. In cottura, si aggiunge vino bianco, pomodoro ed erbe aromatiche.
- Coniglio in porchetta alla romagnola: è una ricetta tipica della Romagna, specialmente nell’entroterra. Il coniglio ripieno di salsiccia e pancetta e arricchito con aglio e finocchio selvatico. Usato specialmente la domenica o i giorni di festa.
- Ciambella romagnola: è un panetto fatto con uova, farina, burro, latte e zucchero che si può inzuppare nel vino come dessert a fine pasto.
I vini
Anche in questo caso, va fatta una distinzione tra le due anime della regione, anche se l’intero territorio è coinvolto nella coltivazione delle viti, dalle colline dell’entroterra alle pianure verso il mare, dove le viti traggono forza e sapore dal clima umido e dal terreno sabbioso.
In Emilia, la parte occidentale e più pianeggiante, sono particolarmente importanti i vini frizzanti, come le diverse varietà di Lambrusco. In Romagna, nella parte orientale della regione, si va verso le colline e gli Appennini e la produzione è molto variegata con vini sia secchi che dolci, sia bianchi che rossi.
I colli bolognesi, la cui storia inizia con gli etruschi, ci regala il Colli Bolognesi DOP, in varie tipologie di bianchi e di rossi, ma la parte del leone la fa il famosissimo Pignoletto, citato addirittura da Plinio il Vecchio nel I secolo a.C., che, secondo la tradizione, gli diede il nome. Si può trovare nelle versioni frizzante, fermo e spumante. Il suo sapore è delicato e viene utilizzato specialmente per gli apertivi, ma quello che colpisce è senz’altro il suo profumo!
Da Bologna, proseguendo fino a Rimini e Riccione, troviamo principalmente la produzione del bianco Albana e del rosso Sangiovese:
- Per quanto l’Albana, la leggenda narra che Galla Placidia, la figlia dell’imperatore Teodosio, in un suo viaggio attraverso la Romagna si trovò a bere un calice di vino locale, e le piacque al punto di volerlo servito in un calice d’oro. Da qui, il nome della località: da “berti in oro” a Bertinoro.
- Il Romagna Sangiovese DOP, invece, dal sapore secco, è caratterizzato da un inconfondibile colore rosso rubino con riflessi violacei e un profumo di viola e di mora.
Dai colli piacentini, che hanno una tradizione vinicola nota dai tempi dei romani, arrivano i vini Colli Piacentini DOP:
- il rosso Gutturnio, sia nella versione frizzante che fermo dalla personalità forte dovuta al connubio delle uve che lo compongono,
- il Malvasia, con la sua esplosione di sapori (fiori, agrumi, miele o spezie a seconda dei vitigni), disponibile anche nelle versioni dolce e passito,
- e il bianco Ortugo, fresco e gradevole, con un profumo delicato e un retrogusto amarognolo nelle versioni frizzante e spumante.
Modena e Reggio Emilia sono le Terre del Lambrusco DOP, riconoscibile per la classica spuma che offre colori dal rosa al rosso rubino e il suo profumo fruttato e fresco.


Taccuino di viaggio
Cari amici viaggiatori, ricordate che la cucina unisce i popoli e va oltre il semplice “nutrirsi”!
In questa foto, ad esempio, c’è il ricordo di una bella serata passata con 3 perfetti sconosciuti che erano appena arrivati a Bologna dalla Germania ed erano curiosi di sapere cosa mangiare e dove farlo… non abbiate mai paura di comunicare (e di sorridere!) perché da una semplice domanda, fatta anche in un inglese traballante abbinato alla nostra arte tutta italiana di gesticolare, può nascere una bella conversazione.
La parte più bella della cena è stata la lezione di “avvitamento” della forchetta per poter mangiare le tagliatelle… che ne sapete quante abilità avete imparato da bambini!
