Stemma di Taranto

Taras, Falanto, i delfini e la pioggia nel cielo sereno!

by Nemo

Taras e Falanto: il dio e il guerriero!

Per raccontare le origini di Taranto, servono due uomini, protagonisti di due belle storie a metà tra mito e leggenda: una che termina nel mare e una nel sangue, ma entrambe legate a doppio filo allo spirito che pervade questa terra.
Si dice che sia tutto frutto della fantasia dei Greci, che volevano la città legata a un’origine divina.

Poco importa do dove arrivino queste storie: sentite che belle!

La storia di Taras

SI narra che, a volte, gli dei si divertissero con le ninfe… fu così che, dall’unione del dio del mare Nettuno (o Poseidone, nella sua versione greca) con la ninfa Satyria (figlia di Minosse) nacque Taras.

Il giovane Taras, a comando di una flotta, approdò sulla costa dell’attuale golfo di Taranto, attratto dalla bellezza delle acque cristalline di un fiume che in seguito verrà chiamato proprio Tara, in suo onore. Qui immaginò di costruire una città che accogliesse i navigatori dopo un lungo viaggio, così com’era stato per lui.

Deciso a portare avanti il suo progetto, gli mancava solo la benedizione degli dei e quindi si dedicò ai riti propiziatori e alle cerimonie che si convenivano. Non voglio rovinarvi la poesia, ma al di là delle preghiere, la cerimonia prevedeva l’uccisione di animali, le cui viscere venivano arse in onore degli dei. Mentre Taras era intento a  maneggiare il quinto quarto delle bestie malcapitate, dalle acque del golfo saltò fuori un delfino. L’evento venne interpretato come il consenso del dio del mare ad avviare il progetto della costruzione della città!

La madre di Taras si chiamava Satyria e la moglie Satureia… Taras ebbe poca scelta: la nuova città si chiamò Saturo.
Quando finalmente la città venne costruita, Taras si recò alla foce del fiume per ringraziare il padre, ma cadde nelle acque e scomparve come se Nettuno lo avesse richiamato a sé, visto che aveva terminato il proprio compito.

Fu così che, secoli dopo, Taras venne identificato come colui il fondatore morale della città e venne scelto come suo simbolo a cavallo del delfino. E ancora oggi, nel Golfo di Taranto, non è raro vedere branchi di delfini come se fossero le sentinelle di Nettuno.

Delfino che salta
Stemma di Taranto

Lo stemma di Taranto

Lo stemma della città di Taranto richiama la storia di Taras: su sfondo azzurro un ragazzo nudo (Taras) con il tridente, simbolo di suo padre Nettuno, dio del mare, cavalca quel delfino che vide saltare nel golfo della città che stava fondando e a cui diede nome Saturo. Quella stessa città che gli spartani, guidati da Falanto, chiamarono Taranto, proprio in ricordo di Taras.

D’azzurro, al delfino nuotante e cavalcato da un dio marino nudo sostenente nel braccio sinistro un panneggio svolazzante e con la destra scagliante il tridente, al capo cucito di rosso centrato, caricato della conchiglia d’oro, posta fra la leggenda Taras.

L’organizzazione di Sparta

Per poter comprendere meglio la storia di Falanto, è bene capire come erano organizzate le caste di Sparta.

  • La casta più importante era quella degli Spartiati, i veri guerrieri, che partecipavano alle decisioni politiche ma non possedevano denaro perché erano nati per combattere.
  • Poi c’era la casta dei Perieci, ovvero i mercanti: loro avevano il denaro perché assolveva alla funzione per cui vivevano, ma non potevano partecipare alla vita politica di Sparta.
  • Infine, c’era la casta più bassa in termini di importanza: quella degli Iloti, i contadini che lavoravano nei campi. Loro non avevano nessuno dei diritti delle altre due caste sebbene fossero comunque cittadini di Sparta.

Normalmente, andando a combattere, gli Spartiati erano quelli con più alta probabilità di morire precocemente e quindi provvedevano costantemente alla loro “riproduzione” accoppiandosi tra membri della stessa casta per mantenere pura la razza dei guerrieri.

La storia di Falanto

Rispetto alla storia di Taras, ci spostiamo molti anni avanti nel tempo, nel 706 circa a.C. all’epoca in cui un giovane capo spedizione di nome Falanto, marito della bella Etra, guidava una spedizione di Sparta alla ricerca di una nuova colonia nel sud della penisola.

Per capire come erano organizzate le caste degli Spartani, leggete il box a lato di questa pagina. Noi ripartiamo da lì.

Siamo nell’VIII secolo a.C e le guerre Messeniche (combattute tra Sparta e i Messeni) mettono Sparta a dura prova per via delle ingenti perdite umane (prevalentemente di Spartiati). Col rischio di non avere una nuova generazione, gli Spartiati permettono eccezionalmente ai Perieci di unirsi alle donne per generare dei nuovi guerrieri chiamati Parteni. I Parteni vengono impiegati nelle guerre ma al loro ritorno a casa non gli vengono riconosciuti i diritti degli altri guerrieri perché, appunto, figli dei Parteni. Al pari dei figli illegittimi, quindi, vengono tenuti in uno stato di marginalità finché, una volta cresciuti e consolidati nella loro coscienza di casta e di risorsa per Sparta, cominciano a pensare alla rivolta.

L’insurrezione dei Parteni, sotto la guida di Falanto, va male e, non potendo essere messi a morte perché comunque figli di Sparta, vengono esiliati.
Non sapendo dove andare, Falanto decide di consultare l’Oracolo di Delfi che gli dice di andare verso Saturo (vi ricordate come si concludeva la storia di Taras?) dove, però, era presente il popolo degli Iapigi.
Alla richiesta di come fare a sconfiggere questo ultimi, l’Oracolo si esprime così:

Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città.

Parteni si stanziano a 12 chilometri da Saturo aspettando il momento propizio, ma col tempo le cose non migliorano e le posizioni non vengono modificate. Allora, in un momento di sconforto, Falanto piange sulle ginocchia della moglie Etra, che a sua volta, piange su di lui.
Dovete sapere che Etra, in greco, significa proprio “cielo sereno” e quindi le lacrime di Etra sono proprio paragonabili a una pioggia a ciel sereno. Questo per Falanto è il segnale!
Con i suoi uomini muove verso Saturo e fonda un agglomerato urbano che, in onore del mito greco-iapigio Taras, chiamerà Taranto.

Ma non finisce qui!
La fine della storia è ancora più bella e merita qualche riga in più…

Dice il vecchio adagio, che “nessuno è profeta in patria”, e così è anche per il povero Falanto che, dopo tutto lo sforzo per dare al suo popolo la libertà e una terra, entra in contrasto con loro e viene esiliato con ingratitudine. Per ironia della sorte, viene accolto con onore a Brindisi dai suoi vecchi nemici, gli Iapigi. Qui passa i suoi ultimi giorni, fino alla morte.
In punto di morte, però, chiede agli Iapigi di gettare le sue ceneri entro le mura di Taranto, sull’agorà, per propiziarsi la conquista della città.

Con questo gesto, contrariamente a quel che potreste pensare, c’era l’ultimo gesto d’amore di Falanto per i suoi vecchi concittadini e per la città che aveva fondato. Infatti, l’Oracolo gli aveva profetizzato che Taranto sarebbe rimasta inviolata solo se le sue ceneri fossero state sparse entro le mura.
L’astuzia di Falanto fu proprio quella di usare i Brindisini come strumento per realizzare la profezia contro di loro.
Anche se tardi, i Perieci (ora Tarantini) riammisero Falanto agli onori di un ecista, ovvero un capo spedizione che guida il popolo alla fondazione di una colonia: una figura tra mito e realtà.

Per la cronaca, questa storia ci è stata raccontata tramite gli scritti di Strabone, un geografo dell’Antica Grecia.

Tempio di Poseidone, nel centro di Taranto
Leggenda di Falanto
La profezia di Falanto
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