Il cibo in Giappone
Fino a poco tempo fa ero propenso a credere che in affinità con l’Italia in termini di passione per la cucina ci fissero solo posti mediterranei come la Spagna e la Grecia. Ma se questo resta vero nel campo dei sapori e delle materie prime che danno origine ai piatti nazionali, oggi posso ricredermi dal punto di vista dell’amore per la tavola, la convivialità e la fantasia creativa in cucina. Nel mio personale medagliere, infatti, si è aggiunto il Giappone che come pochi al mondo ha saputo stimolare la mia curiosità e la mia meraviglia al cospetto delle molteplici varietà di cibo e di preparazioni!
Questo significa che l’impresa che mi appresto a fare in questa pagina è persa in partenza perché, per quanto possa provare a parlarvi di ogni aspetto della cucina giapponese, lascerò sicuramente qualcosa fuori!
Tante cucine in una sola definizione
Partiamo dall’inizio: hai presente i nostri ristoranti giapponesi con formula all-you-can-eat? Dimenticali!
Il primo motivo per farlo è che la formula AYCE non è utilizzata quasi mai in tutto il territorio nipponico: un ragazzo che lavorava in un ristorante di sushi a Ōsaka mi ha chiesto se avessi idea del costo del tonno di qualità e che, per poter fissare un prezzo, avrebbe dovuto ricorrere a materie prime di seconda scelta.
Il secondo motivo è che il nostro ristorante giapponese è una “semplificazione” di un universo variegato ed eterogeneo: non solo esistono tanti tipi di cucina legati alle modalità di preparazione o di cottura, ma queste possono variare dal nord al sud dell’arcipelago. Scordati, quindi, di entrare in un locale e trovare tutto: a seconda della tipologia di cucina troverai menù diversi. Se, ad esempio, cercassi del sashimi, non entreresti in un ristorante specializzato in takoyaki oppure, se avessi voglia di tongatsu, probabilmente non ti recheresti in un yakiniku.
Se ti ho confuso, dammi tempo e alla fine di questo articolo ti sarà tutto più chiaro.
Il terzo motivo, forse il più importante, è che la cucina giapponese (detta washoku, in kanji 和食) è famosa per la sua attenzione all’estetica, alla stagionalità degli ingredienti e all’equilibrio nutrizionale, caratteristiche che la rendono una delle più raffinate e variegate al mondo.
Non è un mistero che i piatti giapponesi, oltre a essere buoni, sono spettacolari alla vista poiché cercano equilibrio tra colori, sapori, metodi di cottura e nutrienti. L’impiattamento è al pari di una forma d’arte.
Dì la cosa giusta…
Impara queste forme di cortesia e saprai comportarti a dovere all’inizio e alla fine del pasto:
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Itadakimasu (いただきます) = “ricevo con gratitudine”
- Kampai (乾杯) = “svuotiamo il bicchiere”
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Gochisousama deshita (ごちそうさまでした) = “grazie per il pasto (appena terminato)”
Se vuoi saperne di più sugli usi e costumi legati al pasto, ti consiglio di leggere quanto ho scritto nell’articolo sulle buone prassi nella cultura giapponese.
Guida alla lettura
Io te lo dico prima: in questa pagina c’è tanto testo, ma anche tante immagini: se si carica lentamente, sappi che è per il tuo bene!
Alcuni dei titoli dei paragrafi di questa pagina rappresentano “concetti“, altri sono “cibi titpici” e infine ci sono alcune tipologie dei ristoranti.
Per orientarti meglio in questo caos, ho inserito delle icone che dovrebbero aiutarti a capire di cosa parla il breve testo: una forchetta rappresenta i cibi, il cappello da cuoco introduce un ambiente o un locale e i segnali stradali sono concetti generici che aiutano a capire di più della cucina giapponese.
Mi spiace ma di più non posso fare: per avere un’idea precisa dovrai provarli tutti in prima persona!
Umami
Oltre a dolce, salato, amaro e acido, i 4 gusti universalmente riconosciuti, per i giapponesi esiste un quinto gusto detto “umami”, considerato più importante degli altri. In kanji si scrive 旨味 con un significato che potremmo tradurre in “gusto saporito” o “sapore delizioso”.
Spesso è ottenuto da dashi, alghe kombu, funghi shiitake, carne o pesce e sfrutta la presenza di glutammato o altre componenti simili per stimolare alcuni recettori presenti nella lingua che regalano una sensazione di pienezza, profondità e persistenza del sapore.
Storicamente, fu il chimico giapponese Kikunae Ikeda, nel 1908, a identificare il glutammato monosodico (MSG) studiando le alghe kombu. Sperimentando, si accorse che questo estratto rendeva i cibi più saporiti senza dover abbondare col sale o con i grassi esaltando, al tempo stesso, gli altri gusti. Nell’economia di un pasto, poi, sembrava dare un senso di sazietà raggiunto con maggiore soddisfazione.
Sushi e Sashimi
Sfido chiunque a non ammettere che il suo primo pensiero appena sbarcato in Giappone sia stato quello di andare a fare una scorpacciata di Sushi, il cibo giapponese per eccellenza secondo l’immaginario collettivo mondiale!
- Il sushi è un piatto a base di riso condito con aceto di riso (sumeshi), zucchero e sale, abbinato a pesce crudo o cotto, alghe, verdure, uova o altri ingredienti.
- Il sashimi è invece la forma più semplice per gustare il sapore del pesce crudo (pesce bianco, tonno di diversa consistenza, capesante, seppie o altri frutti di mare).
Oltre al pesce può essere a base di carni crude (come manzo o cavallo) o di tofu yuba.
Il sashimi è generalmente affettato ad arte e servito senza riso: il tipo di taglio influisce su consistenza e sapore.
Mentre il sashimi ha caratteristiche abbastanza standard in tutte le sue versioni, il sushi presenta forme e nomi diversi in base ad alcune caratteristiche:
- Nigiri (握り): tronchetto di riso condito a cui è sovrapposta una fetta di pesce o altro (gambero, anguilla, uovo, carne, …).
- Maki (巻き): i classici rotolini di riso e altri ingredienti avvolti in alga nori.
- Temaki (手巻き): cono di alga nori riempito con riso e altri ingredienti.
- Chirashi (ちらし): ciotola di riso (condito come quello del sushi) con vari ingredienti sparsi sopra. Chirashi significa letteralmente “sushi sparso” ed è una preparazione comune nelle case giapponesi sia per la sua praticità di preparazione, sia perché si presta bene all’uso di ingredienti di stagione o avanzi di pesce e verdure.
- Oshi (押し寿司): sushi pressato in una forma rettangolare, tipico di Osaka.
E gli uramaki?!?
Ora, probabilmente, ti aspetti che nomini anche gli Uramaki (裏巻き) che sarebbe una specie di maki ma con il riso all’esterno. Sappi che non lo troverai facilmente in Giappone se non nelle località più turistiche perché non appartiene alla cultura tradizionale. La sua origine è occidentale per ovviare al fatto che alcuni popoli (come gli americani) non gradiscono il gusto dell’alga posta all’esterno. In Giappone, infatti, viene spesso definito “sushi americano” o “western sushi”.
Agemono
L’agemono (揚げ物) potrei definirla l’arte del fritto: è una categoria culinaria giapponese che indica i cibi cotti in profondità mediante frittura in olio bollente. Pur nelle sue varianti principali, la tempura e il tonkatsu, la frittura è vista come un’arte, non come un metodo grezzo: si punta alla leggerezza, all’equilibrio e alla presentazione. A tracciare le differenze tra i diversi fritti sono le origini dei piatti, i cibi che vengono fritti, le tecniche di preparazione e le pastelle usate.
Di seguito vediamo le due più famose: il tempura utilizza una pastella leggerissima fatta con farina, acqua fredda e, a volte, uovo, mentre il tonkatsu punta più sulla corposità dei sapori e usa una panatura spessa fatta di farina, uovo e pangrattato (panko).
Tempura
Il tempura (天ぷら) è uno dei piatti simbolo della cucina giapponese, celebre per la sua pastella leggera e croccante a base di farina, acqua ghiacciata e talvolta uovo che avvolge verdure, gamberi e altri ingredienti, esaltandone il sapore. Nato nel periodo Edo (1603–1868), il tempura si è evoluto da una tecnica introdotta dai missionari portoghesi nel XVI secolo, diventando un’arte culinaria raffinata tipica del Giappone.
Curiosità:
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Il nome “tempura” deriva dal latino “tempora“, che si riferiva ai giorni di digiuno dei missionari portoghesi: nella versione iniziale serviva a indicare i giorni della “temporada” (digiuno), durante i quali si consumavano piatti a base di verdure e pesce.
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In Giappone esistono ristoranti specializzati chiamati “tempura-ya“, dove gli chef preparano ogni pezzo singolarmente davanti al cliente.
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Il tempura viene spesso servito con una salsa leggera (tentsuyu) a base di dashi, salsa di soia e mirin, oppure con semplice sale aromatizzato.
- Il suono corretto in giapponese è “tenpura“, con una leggera “n” tra le prime sillabe, anche se in italiano e in altre lingue si è diffuso come “tempura”.
Tonkatsu
Il tonkatsu (とんかつ) è un piatto iconico della cucina giapponese, composto da una cotoletta di maiale impanata e fritta, tagliata a fette e servita con salsa tonkatsu, cavolo tagliato finemente e riso bianco. Il nome deriva dalle parole “ton” (豚), ovvero “maiale” e “katsu” (カツ), abbreviazione di katsuretsu, che deriva dal francese côtelette (cotoletta).
Nato alla fine del XIX secolo come versione giapponese delle cotolette europee, il tonkatsu è diventato un piatto tipico e potrai trovarlo sia nei ristoranti specializzati (katsu-ya) sia nei bento comprati di corsa alla stazione mentre aspetti lo Shinkansen.
Si presenta spesso accompagnato da miso shiru (zuppa di miso), tsukemono (sottaceti) e senape karashi. Se vai in un ristorante specializzato, fatti spiegare il rituale per preparare la salsetta (se non ricordo male, a base di sesamo) in cui intingere i pezzi prima di mangiarli: fa parte dell’esperienza culinaria!
Varianti e accompagnamenti
- Rosu-katsu: è fatto con un taglio più grasso, la classica lonza di maiale.
- Hire-katsu: presenta un taglio più magro, come il filetto (sempre di maiale, eh!).
- può presentarsi anche sopra il riso e le uova, e allora si parla di Katsudon oppure in un panino morbido, conosciuto come Katsu sando.
- Se vuoi provare una versione più pregiata, assaggia il tonkatsu di wagyū (fatta, appunto, col manzo giapponese) ma tieni d’occhio il prezzo! A mio avviso, essendo un piatto popolare, perde un po’ della sua sana “ignoranza”.
Curiosità
- Siccome la parola “katsu” suona simile al verbo “vincere” (ma sarebbescritto così: 勝つ), si mangia spesso prima degli esami o di eventi importanti come buon auspicio.
- La salsa tonkatsu, densa e agrodolce, è ispirata al Worcestershire inglese ma adattata al gusto giapponese.
Okonomiyaki
Noi diversamente giovani le abbiamo conosciute come le “frittate di Anacleto Marrabbio, che il padre di Licia preparava ad Andrea e Giuliano mentre Mirko era impegnato con le prove dei Bee Hive” (so che con questa citazione ho perso la metà dei miei 5 follower, ma qualcuno doveva pur farlo).
Parlando più forbito, l’okonomiyaki (お好み焼き) è il piatto tipico giapponese che a noi scout ricorda il “frittatone svuotacambusa” dell’ultima sera di campo: il suo nome significa “fai alla griglia ciò che vuoi”(okonomi = “ciò che vuoi”, yaki = “grigliato”), perché è letteralmente una massa di ingredienti con personalizzazioni varie. Viene definita anche “pizza giapponese” o “frittata nipponica”.
Il connubio si consuma su una piastra rovente su cui vengono depositati vari strati di una pastella a base di farina, uova, cavolo e brodo dashi e altri ingredienti come:
- carne (tipicamente pancetta)
- frutti di mare (principalmente polpo e gamberi, ma a Hiroshima mi hanno aggiunto anche le ostriche)
- formaggio
- mochi o verdure varie
Il tutto viene condito con:
- salsa okonomiyaki (ricorda molto la salsa BBQ ma chiaramente è un’altra cosa)
- maionese giapponese
- alga aonori (ricca di umami)
- scaglie di tonno secco (katsuobushi, lo stesso dei takoyaki) che si muovono con il calore.
Al centro di questo piatto non c’è una ricetta o una tradizione, ma la convivialità e la voglia di stare insieme: l’okonomiyaki è il piatto conviviale per eccellenza, spesso cucinato tra amici, in famiglia e molto gettonato durante i matsuri.
Curiosità sull’okonomiyaki:
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Esistono due stili principali:
▪ Stile di Osaka: tutti gli ingredienti sono mescolati nella pastella
▪ Stile di Hiroshima: gli ingredienti sono disposti a strati, con l’aggiunta di noodles (a scelta, soba o udon… io vi consiglio la seconda) -
In Giappone ci sono ristoranti specializzati chiamati okonomiyaki-ya dove i clienti cucinano il proprio piatto al tavolo dopo aver ricevuto gli ingredienti. Fidatevi, come direbbe l’avvocato Keating,
Non deve avere senso: deve solo sembrare un casino!
Izakaya & Yatai: il Giappone del gusto informale
Se vuoi scoprire il lato più conviviale e autentico della cucina giapponese, devi affidarti a luoghi come izakaya e yatai: due approcci diversi al cibo ma entrambi profondamente legati alla cultura popolare giapponese.
Gli izakaya (居酒屋) sono una sorta di piccola osteria con un numero di posti limitati dove i commensali si siedono in uno spazio ristretto (spesso attorno al bancone che circonda il cuoco) e si mangia, si beve e si socializza tutti insieme in un’atmosfera rilassata e informale. Ti troverai spesso circondato da gruppi di amici o salary men che hanno appena staccato dal lavoro: non fare resistenza! Accetta quello che ti arriva davanti e fidati: proverai piccoli piatti di varia natura accompagnati da birra, sakè o shōchū.
I yatai (屋台), invece, sono chioschi mobili o bancarelle di street food tradizionale, particolarmente diffusi durante i matsuri (festival) o nelle aree storiche delle città.
Yatai e Izakaya si trovano ovunque: nei quartieri più animati e nei vicoli delle città, nei sottopassi ferroviari e nei mercati coperti… Offrono piatti semplici ma legati alla tradizione come ramen, okonomiyaki, soba, takoyaki, karaage, tofu, yakitori, sashimi e molto altro oppure mix e variazioni di essi.
Entrambe le esperienze sono “autentiche” e spesso non capirai quello che stai mangiando ma il segreto è affidarsi: ad accomunarle c’è la tradizione culinaria, la voglia di stare in mezzo alla gente e la certezza che i piatti sono preparati al momento davanti a te, a volte con una semplicità che fa tenerezza, altre volte con un’elaborata fierezza, quasi fosse un esercizio di stile!
Yakitori
Parlando di cibo da strada, conviviale e di facile preparazione, lo yakitori (焼き鳥) è uno dei piatti tipici che troverai girando per gli izakaya e i mercati alimentari: tori (鳥) vuol dire “uccello” ma indica comunemente il pollo, mentre yaki deriva dal verbo yaku (焼く) che vuol dire “grigliare, arrostire“. In definitiva, gli yakitori si presentano come spiedini cotti sulla fiamma o sulla brace conditi in modo semplice con sale (shio) o con la salsa tare (dolce-salata a base di soia e mirin).
Una cosa che mi ha stupito è la capacità usare ogni parte del pollo: coscia (Negima e Momo), alette (Tebasaki), fegato (Reba), cuore (Hatsu), pelle (Kawa), cartilagine (il croccantissimo Nankotsu), coda (Bonjiri) oppure carne mista trasformata in polpettine (Tsukune). Nella foto in pagina potete vedere, tra gli altri, uno yakitori di fegatini di pollo e uno di cuori. Quando si esce dall’ambito del pollo e cominciano le versioni vegetali o con ingredienti più fantasiose, si parla di generici kushiyaki. (come ad esempio quelli a base di funghi shiitake, enoki avvolti nella pancetta, peperoni shishito, uova di quaglia, tofu, …).
Curiosità:
- Per dargli il caratteristico un sapore affumicato, lo yakitori è generalmente preparato su una griglia a carbone binchōtan, o carbone bianco o binchō-zumi (備長炭), ovvero un tipo di carbone vegetale tipico del Giappone, utilizzato fin dal Periodo Edo.
- In Giappone è buona prassi ordinare gli spiedini uno alla volta, gustandoli lentamente accompagnati da una bevanda fresca.
- Alcuni izakaya sono specializzati in yakitori e vengono detti yakitori-ya: ogni portata è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, come fosse una piccola opera d’arte.
Takoyaki
Assegno un posto d’onore a questa specialità perché è stata la prima che assaggerai atterrando a Ōsaka, dal momento che dagli anni ’30 è la specialità del posto!
Come per lo yakitori, il suffisso “yaki” indica la caratteristica di essere preparato alla griglia, mentre “taki” vuol dire polipo. Ma se la parola completa, takoyaki (たこ焼き), vuol quindi dire “polipo alla griglia“, ciò che vedrai realizzare davanti ai tuoi occhi per le vie di Dōtonbori è qualcosa di molto più complesso.
La preparazione si fa su una piastra con tante piccole conchette, versando pastella e ingredienti come se non ci fosse un domani e mettendo un pezzo di polpo in ogni buchetta. A quel punto, con un uso sapiente delle bacchette, al pari di un moderno maestro Miyagi che acchiappa le mosche, questi chef da strada danno forma a palline perfette croccanti fuori e morbide dentro, ciascuna con un tentacolo di polipo al posto del cuore.
A completare l’impiattamento viene calato sopra a 6-8 palline un tripudio di salsa takoyaki (dolce e saporita, simile alla salsa BBQ), maionese giapponese, alga aonori in polvere) e l’immancabile katsuobushi, ovvero le scaglie di tonno secco che, grazie al calore emanato dalle palline a temperatura di fusione degli altiforni, sembrano agitarsi e muoversi di moto proprio.
Curiosità
- Il vassoietto di takoyaki, specialmente nei mercati e durane i matsuri, si presta a essere condiviso tra amici, una pallina per volta
- Oltre a quello classico col polipo, ne esistono varianti fantasiose che prevedono gamberi, formaggio o, risentendo dell’influsso della vicina Corea del Sud, con ripieno di Kimchi.
- A Osaka esiste addirittura un Museo del Takoyaki, interamente dedicato alle palline di polpo.
Ramen
Anche se fu introdotto in Giappone tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, il ramen è diventato uno dei piatti nazionali della cucina giapponese. La base è un brodo ricco e saporito che può richiedere fino a 12 ore di cottura per raggiungere quel gusto corposo che lo rende diverso da una normale zuppa. A seconda degli ingredienti e delle modalità di preparazione, la cucina giapponese ha dato vita a un’infinità di varianti e di stili. Ad esempio…
- se il brodo è a base di salsa di soia, si parla di Shoyu
- se si usa la pasta di soia fermentata (tipico di Sapporo), si parla di brodo Miso
- se il brodo è a base di sale, prende il nome di Shio.
- se si usano le ossa di maiale (tipico di Fukuoka), si parla di Tonkotsu.
Considera che la stessa disposizione degli ingredienti, pare sia il modo per raccontare una storia di tradizioni e di cultura secolare. Oltre al brodo, come ingredienti tipici troviamo i noodles di frumento (a Kyoto mi hanno chiesto se ci volevo i soba o gli udon), le uova marinate (ajitama), il cipollotto, a volte la carne di maiale (chashu) e l’immancabile alga nori.
Curiosità
- In tutto il Giappone si stimano più di 80.000 locali specializzati in ramen.
- Momofuku Ando, nel 1958, ebbe l’intuizione di inventare il ramen istantaneo portando di fatto questa pietanza in tutte le case indipendentemente dal ceto sociale, dalle disponibilità economiche e dalla capacità di saper cucinare.
- I fan di Naruto (il personaggio di manga e anime) sanno che al protagonista piace molto il ramen. Ma la singolarità è che uno degli ingredienti tipici di una ciotola di ramen è una fetta di surimi con un disegno a spirale rosa che prende proprio il nome di “naruto“.
Udon e Soba
Ho pensato fosse giusto dedicare due parole a questo piatto: in gergo, noi occidentali li chiameremmo gli “spaghetti cinesi” mentre la definizione internazionale dovrebbe essere “noodles” ma, in realtà, c’è una tradizione secolare che va oltre questa definizione. Potremmo trovarli in esercizi gastronomici appositi dedicati a loro oppure come ingredienti di altri piatti (un esempio tra tutti è il ramen, in cui spesso viene inserita una o l’altra versione).
- Gli udon (うどん) sono noodles fatti con la farina di grano. Si presentano spessi e morbidi, caratteristica che li rende perfetti per assorbire il sapore del brodo o dei condimenti.
- I soba (そば), al contrario degli udon, si presentano sottili e scuri e sono realizzati con farina di grano saraceno. Npn tutti li gradiscono perché la consistenza è un po’ gelatinosa ma per contro hanno un aroma e un gusto più intensi.
In alcune regioni, come Kagawa, non si scherza con la tradizione degli udon: qui prendono il nome di “Sanuki udon” ed è possibile prenotare tour gastronomici per provarli.
Curiosità
- I soba sono associati al simbolo di una lunga vita e quindi sono il piatto tradizionale di Capodanno (toshikoshi soba).
- A dispetto del loro aspetto gelatinoso, se i soba sono stati fatti con il 100% di grano saraceno (juwari soba), risultano più fragili ma sono naturalmente senza glutine.
- Inutile dirvi che le voci sono vere: il modo giusto per mangiarli è risucchiarli rumorosamente! Sì, in Giappone è educato “risucchiare” i noodles come forma di apprezzamento.
Donburi
Ecco una definizione su cui cadono molti (l’ho fatto anch’io, quindi non vi giudico!).
Il donburi (丼), che in giapponese significa letteralmente “ciotola”, è uno dei piatti più amati della cucina giapponese casalinga. Altro non è che una semplice ciotola di riso bianco al vapore (caldo, soffice e compatto) servita con vari ingredienti cotti che vengono adagiati sopra. Di fatto, costituisce un piatto unico ma sostanzioso. Oltre che sulla tavola domestica, il donburi viene inserito spesso anche nei pranzi pronti “bento” (quelli che si acquistano in stazione).
Gli ingredienti aggiunti possono essere carne, pesce, verdure, uova o tempura, a seconda della stagione e delle ricette regionali. Ogni variante ha un nome specifico, legato agli ingredienti principali:
- Gyūdon: manzo stufato con cipolle e salsa di soia.
- Katsudon: cotoletta di maiale impanata con uovo e cipolla.
- Oyakodon: pollo e uovo cucinati insieme (letteralmente “genitore e figlio”).
- Tendon: tempura di verdure e gamberi.
- Kaisendon: sashimi assortito su riso, servito freddo (eccezione con ingredienti crudi).
Disambiguazione
Vi avevo detto che sul donburi si sbagliano molti perché, abituati con la proposta gastronomica occidentale che arriva nelle nostre città, rischiamo di confonderlo col chirashi e con il poké. Partendo dalle origino, però, mentre il chirashi è un peccatuccio veniale, il poké è un piatto hawaiano di origine polinesiana totalmente agli antipodi del donburi sia per ingredienti che per filosofia gastronomica. Ma andiamo con ordine e vediamo le tre caratteristiche:
- Il donburi è un piatto caldo e “completo”, spesso servito come pasto unico e con una tradizione secolare. Viene preparato con riso semplice e ingredienti generalmente cotti, risultando più rustico e sostanzioso
- Il chirashi è sempre giapponese (il nome vuol dire “sushi sparso“) ma utilizza riso per sushi (condito con aceto di riso, zucchero e sale) e ingredienti crudi disposti con cura. Il topping è selezonato tra ingredienti di qualità e l’obiettivo è sia la freschezza, sia l’estetica della decorazione.
- Il poké (che in hawaiiano significa “tagliare in pezzi“) è un piatto di origine polinesiana con influenze giapponesi e coreane che può avere per base il riso bianco, il riso integrale, la quinoa o l’insalata. Il topping è composto principalmente da pesce crudo marinato (come tonno o salmone), verdure fresche, alghe, avocado, edamame, salse varie (soia, maionese piccante, teriyaki…). Il poké è quindi un piatto freddo e colorato, nato come cibo per i pescatori.
Kaiseki
Siccome abbiamo parlato di cucina informale e da strada, p giusto fare un passaggio anche sul kaiseki (懐石 o 会席) che è considerata una forma più raffinata della cucina tradizionale giapponese: si tratta di un pasto composto da molte piccole portate, servite nella sequenza decisa dallo chef sulla base di gusto, stagionalità e armonia estetica. In molti la paragonano a una sorta di haute cuisine giapponese.
Origine del nome
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kaiseki può essere scritto con i kanji 懐石 e vuol dire “pietra nel grembo” con riferimento alla pietra calda che i monaci usano durante la meditazione per distrarsi dai morsi della fame. Questa parte del nome suggerisce che il pasto non sia un’abbuffata ma piuttosto un’esperienza sobria e ricercata.
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kaiseki scritto con i kanji 会席, invece, indica un pasto sontuoso, degno di un banchetto per gli alti ranghi.
Il kaiseki moderno unisce i due concetti di leggerezza e, al tempo stesso, eleganza e nobiltà fondando i propri principi su:
- Stagionalità (shun): ogni ingrediente è scelto in base alla stagione
- Equilibrio: tra sapori, colori, consistenze e tecniche di cottura
- Presentazione artistica: anche l’occhio vuole la sua parte e quindi nei piatti prendono forma delle piccole opere d’arte
- Cerimonialità: i piatti vengono serviti uno alla volta, secondo una narrazione precisa.
Il kaiseki è strettamente legato alla filosofia zen, al rispetto per la natura e all’estetica giapponese (wabi-sabi) quindi, se volessi immergerti nella cultura giapponese più autentica e raffinata, ti consiglio di pernottare in un ryokan autentico e prenotare una cena tradizionale giapponese oppure cercare un ryōtei (l’equivalente di un ristorante stellato). Vedrai che nulla, a partire dalla disposizione dei piatti, è casuale e spesso dipende dalle stagioni.
Esempio di un pasto kaiseki
- Sakizuke – antipasto, simile all’amuse-bouche
- Hassun – piatti che rappresentano la stagione
- Mukozuke – sashimi
- Takiawase – verdure cotte con tofu o carne
- Yakimono – pietanza grigliata (ad esempio, il pesce)
- Futamono – zuppa in tazza con coperchio
- Gohan, tsukemono, miso shiru – riso, sottaceti, zuppa di miso
- Mizumono – dolce o frutta
Yakiniku
Yakiniku (焼肉) significa letteralmente “carne grigliata” ed è una delle esperienze culinarie più apprezzate in Giappone, principalmente per la sua convivialità. Immagina di sederti a dei tavolini con un buco al centro e una cappa aspirante sopra di voi: il buco è un piccolo barbecue, alimentato a carbone o a gas, sulla cui griglia ogni commensale cuoce da sé fettine sottili di carne (principalmente wagyū), frattaglie e verdure varie decidendo da solo i tempi di cottura.
Pare sia originario della Corea del Sud, dove questo tipo di locali è molto frequente, ma si è evoluto in una tradizione tutta giapponese che mette al centro la voglia di stare insieme e la qualità degli ingredienti. Più che un pasto è un momento di socialità durante il quale si mangia lentamente, si condivide il cibo e si chiacchiera attorno alla griglia.
Ah… devo dirtelo perché sennò non sarei onesto fino in fondo: la cappa aspirante è praticamente inutile quando uscirai puzzerai di fumo e carne arrostita!
Per poter usare la griglia, ogni commensale può ordinare il taglio di carne che preferisce oppure si possono prendere dei “pacchetti” che comprendono diversi tipi di carne già divisi in fettine per tutti: in proporzione, la singola carne costa meno. La carne può essere di manzo, maiale o pollo e in alcuni luoghi c’è anche la scelta di pesce e frutti di mare. Immancabili, le verdure da fare anch’esse sulla griglia (lo sai che non si cuoceranno mai, vero?).
Con gli ingredienti possono arrivare delle spezie, alcune salse, il riso e a volte il miso e il kimchi (per onorare l’influenza coreana, anche se in Giappone è molto meno piccante che a Seoul).
Tipi di carne comuni (per capire il menù)
- Karubi (カルビ) – Costine di manzo
- Rōsu (ロース) – Controfiletto
- Harami (ハラミ) – Diaframma
- Tongue (タン, tan) – Lingua di manzo
- Wagyu (和牛) – Manzo giapponese pregiato
Wagyū
L’ho nominato sopra e quindi è giusto fare un passaggio su questo orgoglio nazionale: il wagyū (和牛) è una delle carni più famose (e care) al mondo. La sua caratteristica è una marezzatura così intensa (spero che tecnicamente si possa dire) da sembrare marmorizzata: questa caratteristica le conferisce tenerezza e sapore pieno. Il termine wagyū significa semplicemente “manzo giapponese” (和 sta per Giappone e 牛 vuol dire mucca), ma nella pratica si riferisce a razze specifiche allevate secondo metodi rigorosi e tradizionali in determinate aree del Giappone.
Tra le varietà più famose ci sono:
- Kobe beef (originaria di Hyōgo)
- Hida beef (nel territorio di Gifu)
- Matsusaka beef (Mie)
- Ōmi beef (Shiga)
Personalmente, ho provato solo le prime due e devo dire che mi è bastato: vi racconto di più su questa esperienza nella pagina dedicata a Kobe. La caratteristica distintiva del wagyū è l’elevata presenza di grasso intramuscolare (la marezzatura di cui sopra), che quando si scioglie sulla piastra dà una sensazione quasi “burrosa”: la carne è tenerissima, al punto che sembra sciogliersi in bocca e il gusto rientra nella definizione di umami.
In Giappone, il wagyū viene calssificato con una scala nazionale che va da A1 (carne meno pregiata) ad A5 (carme più pregiata… e costosa). In una mia esperienza a Kobe (assolutamente da provare almeno una volta se passate di là) ho pagato un taglio A5 da 120 grammi circa 180 € (chiaramente compri tutta l’esperienza, compresa la coreografia del cuoco che ti prepara la carne un pezzetto alla volta separando i tagli e abbinando i contorni, l’antipastino, la birra, il dolcetto e il caffè).
Curiosità sul wagyu
- Tutti i manzi sono “schedati”, nel senso che ogni bovini wagyū è tracciato individualmente, con registri dettagliati della sua genealogia.
- Non tutto il wagyu è Kobe, ma tutto il Kobe è wagyu. Kobe è solo una delle varietà più rinomate e certificate ed è per questo che ha i prezzi più alti. La carne di Hida, ad esempio, è altrettanto buona ma con meno marezzatura e presenta un prezzo più abbordabile.
- Per essere venduta come “Kobe”, la carne deve provenire da bovini Tajima allevati nella prefettura di Hyōgo e superare standard severissimi. Alcune leggende (purtroppo false) narrano che ogni manzo abbia un team che si occupa di massaggiarlo e di nutrirlo con la birra.
- Il grasso del wagyū ha un punto di fusione molto basso e per questo si scioglie in bocca. Dato il sapore forte e corposo, viene servita preferibilmente in piccole porzioni come fosse una “degustazione”. Generalmente viene preparata e cucinata come sushi, sukiyaki, shabu-shabu o semplicemente scottata sulla griglia o sulla piastra.
Bevande
Le bevande tradizionali o moderne, calde o fredde, raccontano molto della cultura giapponese e nella maggior parte dei casi, sono legate a una storia o a un rituale.
Il Té verde
Il protagonista più conosciuto è sicuramente il tè verde (ocha): è la bevanda più consumata in tutto il Giappone, sia durante i pasti che fuori (è onnipresente anche nelle vending machine a ogni angolo di strada). Ne esistono molte varietà:
- Il sencha, dal gusto erbaceo e rinfrescante, è il tipo più comune.
- Il matcha: è il classico tè verde in polvere, disponibile sulle tavole dei ristoranti ma soprattutto usato nella cerimonia del tè.
- L’hōjicha è il tè tostato che, rispetto agli altri, presenta un sapore più morbido.
- Il genmaicha è il tè con riso tostato, dal gusto particolare e rustico.
Il Sake
Segue a poca distanza il sake (酒), la bevanda alcolica ottenuta dal riso fermentato che può essere bevuto caldo o freddo. Viene chiamato anche nihonshu e, sebbene in Italia ci venga proposto come ammazzacaffè a fine pasto, per i giapponesi è equivalente al vino. Per questo ne esistono centinaia di varietà regionali dalle proprietà organolettiche molto diverse tra loro.
Viene spesso servito in bicchieri piccoli di ceramica o in una masu (scatola quadrata di legno) e, a volte, è usato nei rituali religiosi e nelle celebrazioni.
Lo Shochu
Il terzo protagonista è lo shochu (焼酎), che ricorda molto il soju coreano, ed è un distillato di riso, patate o orzo: nella quotidianità è più diffuso del sake. Servito liscio, con ghiaccio o allungato con acqua calda, presenta una gradazione alcolica del 25%
La Birra
Come ultimo ospite abbiamo la fantastica birra giapponese. Basteranno pochi giorni per conoscerle tutte: Kirin, Asahi, Sapporo, Ebisu. Spesso consumata ghiacciata con lo yakiniku o nei ristoranti izakaya. Se volessi sentirti a casa circondato da amici, prova a ordinare una birra e poi levare il boccale urlando kanpai!
Oltre a queste vanno citate:
- Calpis (o Calpico): bevanda dolce e lattiginosa, leggermente acidula.
- Ramune: bibita gassata con pallina di vetro nel collo della bottiglia venduta nei matsuri.
- Amazake: bevanda dolce a base di riso fermentato, prevalentemente analcolica.
- Yuzu drink: bibita rinfrescante a base di agrume yuzu, spesso servita fredda d’estate
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