L'ordine e l'attenzione al prossimo

Giappone, cortesie per gli ospiti

Cosa fare o non fare per essere educati

by Nemo

Le piccole e grandi attenzioni

Non ti voglio mettere ansia: i giapponesi sono persone tranquille e difficilmente ti rimprovereranno, per il rispetto che hanno per il turista. Ciò non toglie che, se sarai tu a mancar loro di rispetto, potresti essere oggetto di occhiatacce di disapprovazione o di frasi che non capirai assolutamente.
Tu dirai: “e perché dovrei mancar loro di rispetto?“.

La risposta risiede proprio nella differenza culturale di cui abbiamo parlato nell’introduzione di questa pagina: magari non te ne accorgerai perché per te fare una certa cosa è normalissimo ma può capitare che, in Giappone, proprio quella cosa è illegale, immorale o indice di maleducazione.
Alcune di queste “regole” ti potrebbero sembrare strane, contraddittorie o, in alcuni casi, retaggio del tempo dei samurai, ma sappi che fanno profondamente parte dell’identità di un popolo che ti sta accogliendo e quindi meritano tutta la tua attenzione e il tuo rispetto: che diresti se arrivasse qualcuno in Italia a mettere l’ananas sulla pizza? 😀

Eccoti un elenco non esaustivo di esempi di cose da fare o non fare: l’esperienza di un viaggio in Giappone parte anzitutto da qua!

Indipendentemente dal grado di confidenza che hai acquisito o che intendi raggiungere durante la tua visita, ci sono alcune paroline importanti per vivere pienamente l’interazione col popolo giapponese. Ti propongo le prime 3: imparale e usale!

kudasai
arigatou gozaimasu
summimasen
(ください) (ありがとうございます) (すみません)
per favore grazie scusa

Chiaramente, non sono gli unici modi per dire queste 3 parole (tra formalismi e situazioni particolari, esiste una vasta casistica), ma sono comunque un buon punto di partenza per entrare in empatia con le persone che incontrerai.

Ti serve un ripasso veloce della storia del Giappone?
Ti serve un ripasso veloce della storia del Giappone?

Livello I: le buone maniere

  • Occhio sempre al prossimo: giù lo zainetto dalle spalle quando sali sui mezzi pubblici, prepara i contanti se non sei certo che accettino la carta (molto spesso, purtroppo) per non rischiare di creare la coda, non urlare, non fermarti in mezzo alla strada a leggere il cellulare costringendo le persone a circumnavigarti (semmai scansati da un lato), non parlare al telefono a voce alta in treno. In Giappone scoprirai che esiste un’opzione, nelle impostazioni dei tuoi device, per silenziare la suoneria: impara a usarla prima che l’intero vagone ti guardi come un selvaggio venuto dalle paludi degli orchi!
  • Rispetta la coda!!! Come “quale coda?”. In Giappone ci sarà sempre un motivo per mettersi in coda e sarà una coda ordinata, regolare, indicata e rispettata da tutti. Se c’è una cosa per cui noi italiani non siamo simpatici ai giapponesi (sono veramente poche cose, credetemi… per il resto ci adorano) è il nostro modo “allegro” di fronte alla coda. Il secondo è il tono di voce e il terzo l’uso del cellulare in mezzo alla strada e sui mezzi pubblici.
    Fateci attenzione, vi prego: ne va dell’immagine di tutto il nostro Paese!
  • Sulle scale mobili tieni la sinistra (oppure la destra nella regione del Kansai): l’altro lato del gradino è utilizzato da chi ha fretta ed è considerato irrispettoso chi si piazza in mezzo e blocca la fila più veloce. Ma stai sereno: se non ci sei abituato e sbagli lato, ti verrà fatto notare.
  • Quando fai la fila alla cassa del konbini (o combini… non ho ancora capito se ci vada la “c” o la “k”) o di un negozio, non montare sopra a chi sta pagando: potrai approcciarti alla cassa solo dopo che il cliente precedente avrà liberato il posto. Stai sereno: gli altri faranno lo stesso con te anche se sei lento. Considera che, molto spesso, il commesso ricontrolla con il cliente le cose acquistate per verificare che lo scontrino sia corrispondente al vero: per la legge di Murphy, questo avviene prevalentemente quando vai di fretta.
  • Al contrario dei biglietti da visita, quando sarai in cassa (al negozio, al supermercato, al ristorante o anche presso una bancarella ambulante) i soldi non vanno mai passati di mano in mano ma appoggiati sul piattino che c’è sul bancone affinché il commesso possa prenderli. Idem per il resto: resisti alla tentazione di allungare la manina a cucchiaio per prendere gli spicci!
  • In generale, se non sei sicuro che una cosa possa essere passata o meno, porgila sempre con 2 mani facendo un piccolo inchino della testa: se anche non fosse buona educazione passarla di mano, verrà apprezzato il gesto.
  • Non dare la mancia: qualcuno potrebbe anche offendersi. Mostrati, piuttosto, contento del servizio ricevuto. Ringrazia il personale dell’hotel che ti ha seguito durante il soggiorno o fai i complimenti al cuoco dicendogli che è stato tutto “totemo oishi!” (molto squisito!).
  • Un altro comportamento che equivale a un insulto a tutte le generazioni di avi di chi ti ospita è camminare con le scarpe sul tatami di casa sua o, in generale, negli ambienti in cui è previsto che si cammini scalzi, come ad esempio le camere dei ryokan. Purtroppo, per abitudine, se non ci viene detto o se non c’è nessuno davanti a noi che lo fa, ce lo dimentichiamo e in quel caso scatta l’incidente diplomatico.
  • Quando arriva il taxi, resisti alla tentazione di “aiutare” l’autista: sarà lui a caricare e scaricare le tue valigie. Inoltre, per sicurezza, tieni le mani in tasca perché se ti venisse in mente di allungare la mano sulla maniglia per aprire la porta, ti beccheresti un rimbrotto dal tassista: le porte dei taxi si aprono e si chiudono da sole… oppure fa lui!
  • Sempre in termini di cose da non fare, ce n’è una che vince nella classifica della stranezza, ma che va assolutamente rispettata: non soffiarti il naso! Questo è uno dei motivi per cui è difficile trovare fazzolettini in vendita. Se ti cola il naso, usa la mascherina, che sciacquerai o sostituirai nel primo bagno pubblico disponibile. I bagni pubblici sono ovunque, quindi se devi soffiarti il naso usali come rifugio!

Divieti

  • Fumare per strada è vietato e se lo fai rischi una multa. No, non è una remota possibilità: c’è una polizia apposta che vigila sul rispetto delle regole. Se proprio ti stai fumando sotto, cerca un’area fumatori allestita con i posaceneri: se non conosci i kanji, cerca i cartelli con le immagini delle sigarette che li indicano.
  • Non mangiare per strada… neanche lo street food: c’è una cura maniacale per la pulizia e il terrore che tu possa sporcare, anche solo per errore o distrazione. Potrai mangiare solo nello spazio in prossimità del locale in cui hai comprato il cibo oppure in apposite aree designate. Per un Paese che primeggia nello street food mondiale è un po’ una contraddizione, lo so!
  • Dopo gli attentati del marzo 1995 (a opera della setta religiosa Aum Shinrikyou), in giro è difficilissimo trovare cestini della spazzatura (guarda il video linkato in questa pagina). Se hai della spazzatura, mettitela in tasca, nel marsupio, nello zainetto… vedi tu dove, ma falla sparire e portatela con te. Se cerchi disperatamente i cestini della spazzatura, passa per le stazioni dei treni o entra in un konbini. Anche se potrà sembrarti il contrario, non sei di fronte a un test attitudinale per diventare astronauta: le categorie della raccolta differenziata sono più che da noi ed è bene che tu scelga con cura il cestino giusto!
  • In molte linee della metropolitana ci sono uno o più vagoni dedicati alle donne: se sei un uomo, stai alla larga! Sono indicati da segnali rosa davanti ai cancelletti d’ingresso sulla banchina.

A tavola

  • Quando entri in un locale dove si mangia, a meno che non sia espressamente indicato attendi che arrivi qualcuno ad accoglierti per confermarti che puoi entrare e che c’è un tavolo per te.
  • Quando ti siedi al tavolo di un ristorante, ci si aspetta che tu ti lavi le mani utilizzando delle salviette bagnate o “oshibori“: capita spesso che noi italiani le teniamo piegate e immacolate fino alla fine del pasto pensando che siamo l’equivalente delle salviettine profumate che ci forniscono nei ristoranti di pesce nostrani e invece vanno usate prima di toccare qualsiasi cibo. A volte, al posto della salviettina imbustata, ti porteranno un piccolo asciugamano in cotone bagnato e bollente.
  • Fidati che è già stato diviso in bocconi e quindi non va spezzettato, tritato, sbocconcellato o marinato nella salsa di soia fino al cambio della colorazione.
  • Se il cibo è avvolto dall’alga nori, è un segno che puoi prenderlo con le mani.
  • Non ordinare mai le scorte per l’inverno, come ci hanno insegnato negli all-you-can-eat giappo-italiani, ma prendi di volta in volta quello che sai di riuscire a mangiare: è buona educazione finire tutto ciò che arriva in tavola.
    Ah… la formula all-you-can-eat non è troppo gradita e raramente la troverai applicata al pesce, la cui qualità è un orgoglio nazionale.
  • Ripeti con me: “le bacchette che trovo nei ristoranti non sono katane né spade laser“! Non essendo tu un samurai né un guerriero jedi, quando prendi in mano i “bastoncini” (tanto lo so che li chiami così) pensa sempre che sono posate e quindi non fare nulla che non faresti con una forchetta, tipo leccarle, indicare la gente, spostare le cose o giocarci in duello con gli altri commensali, incrociarle a mo’ di “X” o metterle a ponte sulla ciotola.
  • Per igiene, quando condividi il tavolo e prendi qualcosa dal piatto comune, dovresti usare la parte posteriore delle bacchette, che non è passata nella tua bocca.
  • Sta male infilzare il cibo e mai (dico “MAI“) lasciare le bacchette conficcate in verticale nel riso perché è di cattivo auspicio: durante i funerali buddisti si mette una ciotola di riso con le bacchette conficcate accanto al defunto come cibo per il suo viaggio.
  • Quando brindi, è buona educazione non alzare il tuo bicchiere più in alto di quello di una persona più anziana o di grado superiore, come forma di rispetto. Inoltre, usa la parola “kampai” perché cin cin, in cinese, ha significati imbarazzanti…

Saluti e presentazioni

  • Impara i saluti perché se un giapponese ti saluta, si aspetta che tu risponda: è buona educazione salutare, ma è imperativo rispondere. Fatti una lista con un po’ di saluti da usare a seconda dell’ora del giorno e del grado di confidenza. Se ti sbaglierai non si farà male nessuno, ma almeno ci avrai provato… e non dire mai “sayonara“: quello è un addio troppo definitivo: lascialo ai film sui samurai.
    Guarda il box in questa pagina per imparare i saluti principali!
  • Un saluto tipico o un ringraziamento è quasi sempre accompagnato da un inchino. Anche in questo caso, non devi pensare: devi ripeterlo! Se non vuoi sembrare spaesato, osserva bene l’inclinazione: è legata al motivo dell’inchino e al gradi di formalità. Al massimo, comunque, arriva a 45°!
  • Se ti venisse in mente di voler abbracciare o baciare qualcuno che hai conosciuto… non farlo!!
    I giapponesi non gradiscono il contatto fisico e le effusioni in pubblico. Neanche la stretta di mano potrebbe essere apprezzata: è per questo che esiste l’inchino!
  • Abbi cura dei biglietti da visita: è molto più di un semplice cartellino stampato! Prendilo con due mani, osservalo, leggilo, giralo, fai vedere che ti interessa, ringrazia e infilalo nella tua agenda o in tasca. Mai e poi mai piegarlo, strapparlo, buttarlo o scriverci sopra! Se vuoi fare bella figura ed essere apprezzato per la tua attenzione all’altro, portatene un po’ per rispondere alla cortesia qualora ne ricevessi uno.

I principali saluti

Ecco una guida rapida per le frasi da usare a seconda della formalità e dell’ora del giorno, ma non vi preoccupate troppo: per il fatto stesso che ci state provando e che state utilizzando la lingua giapponese, verrete sempre accolti da un sorriso!
Ciò che dovete ricordare è che non basta guardare l’orologio per sapere cosa dire: un saluto in giapponese è specchio della cultura e quindi dipende molto dal proprio stato sociale, dalla confidenza che abbiamo con l’interlocutore, dalle rispettive età e da alcune convenzioni sociali.
Accanto alle parole, per aiutarvi nella fonetica, riporto anche la trascrizione in alfabeto hiragana. Per saperne di più, leggi l’articolo sulla scrittura giapponese.
L’elenco che segue, quindi, vi permetterà di orientarvi ma non sarà esaustivo:

Konnichiwa  (こんにちは) 

Konnichiwa significherebbe “salve” o “buongiorno“, ma vi sarà più semplice da usare se lo associate al nostro “ciao“, quindi usatelo quando vi è permesso un certo grado di confidenza. Da alcune parti ho letto che oltre la metà pomeriggio non è bene usarlo, ma posso dirvi che era il mio saluto preferito, non fosse altro perché uno dei più usati negli anime che guardavo da bambino!

Ohayoo gozaimasu (おはようございます) 

Ohayoo gozaimasu, o semplicenete “ohayoo” significa “buongiorno”. Se vi guardate qualche opera di Miyazaki o Shinkai in lingua originale, nella maggior parte dei casi riconoscerete questa parola entro i primi 10 minuti di pellicola. Per me è stata il secondo saluto più utilizzato dopo Konnichiwa e con questo potete stare sereni per la tematica della formalità: va bene con tutti e si porta dietro un alone di rispetto!
Il “gozaimasu” (vi ricordo che la “u” non si pronuncia) alla fine aumenta la formalità.

Konbanwa  (こんばんは)

Con il tardo pomeriggio e il calare della luce, cambia il saluto: il classico “buongiorno” viene sostituito da un generico “buonasera“: Konbanwa va sempre bene, con amici conoscenti, giovani, anziani e portieri d’albergo.
Non potete sbagliare!

Oyasumi Nasai  (おやすみ なさい) 

Personalmente l’ho usato pochissimo. perché quando viaggi da solo è raro che tu auguri la buona notte a qualcuno, e quindi non ho avuto troppe occasioni per percepire le reazioni, formali o informali. Il significato è quello del classico “buonanotte” prima di congedarsi e andare a dormire.

Bai Bai / Jaa Ne / Mata  (バイ バイ / じゃあ /また)

Qua dovete concentrarvi: entriamo nel magico mondo dei saluti generici da usare quando ci si separa! Partiamo dal più semplice: se Bai Bai vi ricorda l’americano Bye Bye, è perché deriva proprio da quello! L’arte giapponese di storpiare parole inglesi e farne un lessico proprio è seconda solo a quella degli origami. È un generico “ciao“, “a presto“, “ci vediamo“. Molto usato nel linguaggio informale ma non certo della tradizione nipponica, quindi non lo userei con anziani, persone di livello sociale superiore o nei contesti formali.
Molto simile nel significato è Jaa Ne, ma ha il vantaggio di essere una parola giapponese e quindi è più gradita anche se sbagliate il grado di formalità. Jaa vuol dire “then“, quindi il significato suona tipo “See you then” (ve lo scrivo in inglese perché in italiano avrebbe meno senso).
La terza forma mi permette di portarvi nel magico mondo dei Mata (corrisponde all’ingrese “again“):

  • Mata Ne è il classico “ci si vede!” o “arrivederci” (analogamente a quanto visto sopra, significa “See you again“);
  • Mata Ashita vuol dire “ci vediamo domani“;
  • Mata Ato De vuol dire “ci vediamo dopo“;
  • Mata Kondo vuol dire “ci vediamo alla prossima” (non sappiamo neanche noi quando);
  • Mata Raishuu vuol dire “ci vediamo la prossima settimana“;
  • …insomma, avete capito, no? Mata + il vostro orizzonte temporale: più sarete vaghi e più sembrerà un tentativo di defilarvi!

L’angolo degli Otaku

Nella mia breve permanenza in Giappone ho usato in automatico la versione Mata Ne perché l’ho sentita spesso pronunciare da Lamù nella versione in lingua originale (Urusei Yatsura) quando salutava Ataru! So che non era sempre applicabile, ma non so se hai presente quando ti si fissano le frasi nel cervello…


Quando vi salutano con Bai Bai, Mata Ne e Jaa Ne, potete rispondere in modo indifferente con uno dei tre.
Potete incastrare gli ultimi due e creare Jaa Mata per dire “ci vediamo presto“, oppure aggiungere formalità nelle forme Sore Jaa e Sore Dewa Mata.

Se ti è venuto il mal di testa, ti capisco! Quindi mi fermo qui: ce ne sarebbero tante altre, ma per una prima visita in Giappone direi che ci siamo!

Via gli zainetti dalle spalle appena salite sui treni e in metropolitana!
Via gli zainetti dalle spalle appena salite sui treni e in metropolitana!
Non è la console dei videogiochi ma il pannello di controllo del cesso tecnologico!
Non è la console dei videogiochi ma il pannello di controllo del cesso tecnologico!
Negli izakaya in modalito "omakase" si sta tutti insieme intorno al cuoco e si mangia quello che lui deciderà di passarti da dietro il bancone!
Negli izakaya in modalito "omakase" si sta tutti insieme intorno al cuoco e si mangia quello che lui deciderà di passarti da dietro il bancone!
Nella patria dello street food non si può mangiare ovunque e la spazzatura va nello zainetto!
Nella patria dello street food non si può mangiare ovunque e la spazzatura va nello zainetto!
Non sai se mantenere la destra o la sinistra? Tranquillo: c'è scritto!
Non sai se mantenere la destra o la sinistra? Tranquillo: c'è scritto!
All'inizio provi a capire, poi scopri che è più facile dire "fai tu!"
All'inizio provi a capire, poi scopri che è più facile dire al cuoco: "fai tu!"

Il tatami

Tra le regole di questa pagina vi ho parlato dell’attenzione da porre al tatami e al fatto che non vada MAI calpestato con le scarpe. Per cultura generale, vi aggiungo che il tatami è il pavimento a pannelli di legno rivestito di paglia intrecciata quindi, per sua natura, soggetto a usura. Se ci fosse un foro quadrato, probabilmente quello è il posto per inserire il braciere, utile per cucinare oppure per scaldare l’acqua durante la cerimonia del té.
Vi sarà facile trovare il tatami nelle residenze d’epoca, nei castelli, nei templi o, più comunemente, nei ryokan.
La stanza con pavimento in tatami prende il nome di washitsu (和室) che sta per “stanza giapponese”. Al contrario, qualsiasi altro tipo di pavimentazione conferisce alla stanza l’appellativo di “stanza occidentale” o yōshitsu (洋室).

Altre cose da sapere

  • Non aspettarti che i tuoi interlocutori comprendano l’inglese e spesso la fonetica giapponese non aiuta a comprendere anche chi lo parla: se prima di sbarcare imparerai qualche parola di giapponese e mostrerai buona volontà, vedrai che si faranno tutti in quattro pur di aiutarti! In molti posti, specialmente quelli più lontani dalle grandi città, sarà una bella sfida: come tornare alle origini della comunicazione. Questo concetto cerco di spiegarlo meglio nel box in pagina “Che lingua parlare?
  • Quando entri nei camerini di prova dei negozi, fai caso al pavimento e alle indicazioni: in moltissimi posti è buona educazione (oppure è proprio obbligatorio) togliere le scarpe.
  • Se in una numerazione (posto a sedere, tavolo, armadietto, …) dovesse mancare il numero 4 (), non preoccuparti: siccome uno dei due possibili modi di pronunciare il 4 (“Shi“) ricorda la parola “morte”, spesso viene omesso. Nel caso fosse presente, va rigorosamente pronunciato “Yon” (in realtà la numerazione degli oggetti segue regole così complesse da scoraggiarmi a raccontartele: è una di quelle cose che ho deciso, di comune accordo con la mia coscienza, di non imparare).
  • Per quanto riguarda gli onsen, ci sono molte cose da dire e raccomandare, ma ti rimando a questo articolo. Ti anticipo solo la parte che riguarda le “pitture corporee“. Se – come me – hai dei tatuaggi… auguri!
    In molti bagni e onsen pubblici, noi non possiamo entrare (mi sento un po’ un animale domestico a dire così) a meno di coprire tutto con dei cerotti e sembrare scampato a un incidente.
    Questo deriva da un retaggio d’altri tempi in cui i tatuaggi venivano fatti in prigione e quindi chi li possedeva aveva avuto a che fare con la giustizia o era in qualche modo legato alla malavita.
    Informati sempre prima di accedere: normalmente c’è un cartello che indica il divieto.
    Per quel che mi riguarda, chiedere di poter entrare in un onsen che non accetta tatuaggi è stato l’unico caso di tutta la vacanza in cui sono stato trattato male, come ti racconto nel diario di viaggio di questa pagina.
  • Ti capiterà, a volte, di sederti su un divanetto della metropolitana (non parlo dei posti singoli, ma dei cuscini a più posti situati spesso accanto alle porte) lasciando libero un altro posto o due. Scoprirai presto che nessuno si siede vicino a te (se la carrozza non è affollatissima, naturalmente). Ti guarderai intorno chiedendoti se tu sia finito su un posto riservato oppure in un vagone in cui non avresti dovuto entrare, oppure se tu sia sudato da far schifo (questo accade sempre ad agosto). Non cercare qui la risposta: ho scoperto che non succedeva solo a me e quindi rilassati e accetta la cosa. Io ero così a disagio per aver occupato da solo tutto il divanetto, che oramai non mi sedevo più!

I tecno-bagni

Non pensiate che si tratti di un lusso riservato a pochi: li troverete negli hotel, nei ryokan, nei centri commerciali, nei ristoranti, sui treni e nelle stazioni… sto parlando dei cessi tecnologici!
Finché non li incontri sono una leggenda e invece scoprirai che sono più comuni di quel che pensi. Se visiterai un negozio di elettronica a Tokyo, non saltare la sezione riservata ai water e ai suoi accessori.
Alcuni hotel ti forniscono anche le istruzioni multilingua ma direi che i disegnini dovrebbero bastarti, anche perché, come italiano, tu sai già cosa sia un bidet; devi solo riadattarne la funzione con la visione tecnologica giapponese.
Quando ti siederai per fare i tuoi bisogni, il più delle volte troverai la tavoletta riscaldata. In alcuni bagni, per evitarti l’imbarazzo di dover usare le mani, il copritavoletta si alzerà da solo al tuo ingresso.
Un pulsante ti permetterà di attivare una colonna sonora composta da una musichetta oppure uccellini o il rumore di un fiume che scorre: lo scopo sarà quello di coprire i tuoi rumori. In alcune versioni più di lusso ho trovato anche il pulsante per scatenare un tripudio di profumi allo scopo di coprire anche gli odori!

Arriviamo alla funzione principale: due ideogrammi difficilmente equivocabili faranno scorrere sotto di te (internamente alla tazza) un beccuccio: dove si fermerà dipende dal pulsante premuto (vi prego di non farmi scendere in dettagli: usate l’immaginazione). Accanto ai due ideogrammi ci sono due pulsanti “+” e “-“: servono a regolare la forza del getto d’acqua del bidet.

Perché h messo questa descrizione nella pagina delle cortesie? Perché noi italiani abbiamo il vizio di andare a dire nel mondo che il bidet ce l’abbiamo solo noi. Non è vero! E, soprattutto, non è il caso di dirlo ai giapponesi che non solo lo hanno introdotto ovunque (vi sfido a trovare un bidet in un centro commerciale o su un treno italiano), ma lo hanno fatto anche con stile realizzando un’eccellenza in campo tecnologico.

Che lingua parlare?

Il giapponese è una lingua bellissima ma difficile!
È bellissima perché non sono solo parole o suoni, ma parte dall’interpretazione del significato di ciò che si vuole comunicare e ha radici profonde nella cultura e nella storia nazionale. Al tempo stesso, però, è difficile, almeno per noi europei, perché segue regole sintattiche totalmente diverse dal modo in cui pensiamo. Ve lo spiego meglio in questo articolo.
Prima di partire per il Giappone, ho studiato il giapponese per 4-5 mesi. Non ero diventato un ninja, certamente, ma quel tanto è bastato a imparare diverse regole e tante parole per poter organizzare nella mia mente le frasi più semplici, quel tanto che bastava – mi ero illuso – per comunicare.
La prima doccia fredda l’ho avuta subito: arrivato al controllo passaporti ho salutato in giapponese e ho detto “ecco il mio passaporto, prego”. Avendo parlato in giapponese, l’addetto ha risposto in un giapponese rapido e conciso di cui ho capito solo il “kudasai” finale…
Visto che non rispondevo, ha fissato la mia espressione interlocutoria e ha sospirato pensando sicuramente “eccone un altro che fa domande in giapponese ma poi non capisce le risposte!” e ha cominciato a parlarmi in inglese. L’averci provato, però, credo sia stato apprezzato perché un sorriso sono riuscito a strapparlo, nonostante fosse un funzionario pubblico giapponese nel mezzo del suo lavoro (una delle specie più difficili da far ridere).

Se non siete confidenti e fluenti con il giapponese, quindi, il mio consiglio per non urtare la sensibilità di nessuno o sembrare arroganti, è quello di studiare un po’ di giapponese per conoscere più vocaboli possibile (potrà esservi sempre utile per imboccare la porta giusta quando cercherete i bagni o per salire sul treno nella giusta direzione) ma poi non fingete di sembrare troppo sicuri e mantenete l’inglese come lingua portante. Questo vi eviterà imbarazzanti silenzi dopo i monologhi del vostro interlocutore.

Lallero.itOmakase: Fai tu!

Diario di Viaggio


Partiamo da un esempio: uno straniero entra in un ristorante italiano e ordina un cappuccino. Poi si fa portare un piatto di “maccaroni” e, senza badare troppo al modo in cui vengono serviti, vi aggiunge del ketchup. A quel punto chiede una pizza, rigorosamente con l’ananas, e la accompagna a un bel succo di pomodoro. Mi fermo qua, dai… dovreste avere l’immagine davanti agli occhi!
Il fatto su cui voglio mettere l’accento non è lo sbaglio degli abbinamenti, spesso dettati dall’immagine che arriva all’estero di una cucina nazionale, ma dell’orrore negli occhi di chi guarda per il fatto che vede una serie di opportunità e di potenzialità “sprecate” perché forse nessuno ha detto a quella persona come e perché nascano quei piatti e il miglior modo di assaporarli secondo la cultura locale.

Quando si ordina in un ristorante, generalmente, si segue la tradizione del tipo di cucina a cui il ristorante è dedicato. In Giappone potrete trovare ristoranti dedicati al sushi, al pesce, al fritto (tonkatsu), agli spiedini (yakitori), al ramen, e così via.
In questi casi è abbastanza facile rispettare l’etichetta o le buone abitudini perché la scelta è monotematica e il rischio di fare abbinamenti sbagliati è molto bassa (al massimo sbaglierai salsa, guidato dalla credenza italiana che tutto vada affogato nella soia).
Il difficile arriva quando il ristorante è più generalista o quando ti siedi di fronte a un cuoco che è lì per soddisfare ogni tua richiesta. In quei casi i limiti linguistici e culturali si sentono… eccome! A me è capitato in particolar modo negli izakaya.

Un izakaya è una specie di piccola locanda dove entrano poche persone oppure è divisa in piccoli ambienti per permettere ai commensali, specialmente dopo il lavoro e prima di rincasare, di bere insieme, mangiare e parlare.: non è raro, infatti, trovarci colleghi con i classici abiti da “colletto bianco”, la giacca appoggiata su un lato e le maniche della camicia arrotolate. Spesso, fuori dalla porta, ci sono delle lanterne rosse (da cui il nome alternativo di akachōchin).
Personalmente, ho adorato quegli izakaya strutturati come un lungo bancone che ruota attorno alla zona cucina, nei quali sei obbligato a sederti fianco a fianco di altri sconosciuti e faccia a faccia col cuoco. Dal momento che amo viaggiare da solo, è quasi d’obbligo incrociare altro sguardi, salutare e, dopo la prima pinta di birra, attaccare conversazione, anche in lingue incerte o totalmente inventate. L’atmosfera degli izakaya permette di lasciar fuori inibizioni e timidezze in un ambiente che diventa ben presto familiare.
Mi avevano avvisato che non sempre gli stranieri sono bene accetti, ma nella mia esperienza non ho mai avuto problemi, a parte una volta a Miyajima in cui, a locale semivuoto, mi fu detto che non c’era posto… in questi casi è inutile insistere o restarci male: avanti il prossimo.
A differenza dei ristoranti più strutturati o svezzati al turismo, negli izakaya il menù è un vero mistero e non esiste una stele di Rosetta che possa aiutarti a interpretarlo: una sera, a Kanazawa, ho mangiato degli spiedini eccezionali… peccato non aver mai scoperto con cosa fossero stati fatti! Il mio vicino di bancone tentava di spiegarmelo all’arrivo di ogni portata, ma al giapponese stretto dovete aggiungerci una mezza bottiglia di saké e ciò che usciva dalla sua bocca era più simile alle grida di dolore durante gli allenamenti dei combattenti di Tana delle Tigri…

In casi come questi, ho imparato a dire una parola: omakase (お任せ), seguito da un “per favore” a scelta tra le varie possibilità (io usavo kudasai oppure onegaishimasu, ignorando quale fosse quella più appropriata).

Letteralmente, “omakase” significa “fai tu“, “mi affido a te” e presuppone che tu accetti e mangi tutti i piatti (generalmente me ne arrivavano 5, ma con la faccia tosta chiedevo sempre il bis di quello che mi era piaciuto di più e non mi è mai stato negato) che lo chef decide di prepararti. In questa esperienza immersiva, posso dire di aver scoperto pietanze diverse dal solito che non sarei neanche in grado di chiedere di nuovo o di ritrovare altrove.
Una sera, in un izakaya di Tokyo, mi sono ritrovato davanti un vassoio di interiora di qualche animale (maiale, credo), mentre un’altra volta mi hanno allestito davanti al piatto un piccolo barbecue dove hanno trovato “conforto” alcuni lumaconi della stirpe di Godzilla, viste le dimensioni. Provare tutto, provare sempre… pentirsi mai!

Un altro espediente che utilizzo spesso è quello di chiedere a qualcuno del posto di ordinare per me. È successo a Kyoto la sera in cui arrivai stanco da un lungo viaggio da Hiroshima: ero davanti a un tabellone con tante figure e kanji incomprensibili da cui avrei dovuto capire come comporre il mio ramen. Dietro di me c’erano due ragazzetti con le classiche divise di scuola superiore… immaginatevi Ataru e Mendo visibilmente spazientiti perché il gaijin davanti a loro non sa neanche come orientare le scritte. i giro verso di loro e gli chiedo (in inglese) di ordinare per me, considerato che volevo provare il vero ramen come lo mangiano a Kyoto. Dopo che scrivono un po’ di scarabocchi sul foglietto, passo alla cassa, pago e vado a sistemarmi su un bancone laterale (non volevo dare troppo nell’occhio nel mio primo impatto con quelle “ciotole del mistero”. Loro occupano due posti liberi accanto a me.
Poco dopo mi arriva una “vasca” di brodo strapiena di noodle, germogli di soia, verdure, funghi, alghe nori, un uovo e qualche fetta di “porchetta” (lo so che non era porchetta, ma in qualche modo devo darvi l’idea dell’impatto visivo!). Prendo due bacchette da un contenitore comune e comincio a mangiare. Subito i due mi fanno notare che non devo separare gli ingredienti ma, anzi, dare una bella mischiata al tutto in modo tale da prendere insieme più elementi ad ogni boccone. Il bon ton europeo va a farsi benedire quando sento che, per tirare su i noodle, va fatto il classico rumore di “risucchio” con la bocca. Dopo qualche boccone mi cominciano a prendere in giro (in giapponese) per poi chiedermi (in inglese): “Ma come le impugni le bacchette?!?”. Per la cronaca, io le bacchette le impugno benissimo grazie ad anni e anni di pratica nei ristoranti giapponesi di Roma, ma quella sera scoprii che impugnarle a metà lunghezza non è propriamente elegante: con la loro delicatezza da millennial mi apostrofano dicendo “Così le tengono i bambini all’asilo”.
Da quel momento, per me, è stato lo stesso inferno che deve aver provato il millepiedi quando gli chiesero “quale piede muovi per primo?”

Finalmente, arrivano le ciotole di ramen anche a loro… c’è meno roba della mia, ma è giusto così: era una mia richiesta quella di provare qualcosa di particolare. Prendono le loro bacchette dal bicchiere comune e poi, guardando ciascuno la propria ciotola, dicono, ciascun per sé, “itadakimasu“. Stavo per aggiungere anch’io “Buon appetito”, ma è stato chiaro, dal fatto che tra loro non si fossero filati, che quella parola prima del pasto non era per gli altri, ma per se stessi.
Scoprirò poi che “itadakimasu” (いただきます) non è un augurio di buon appetito, ma un ringraziamento per il cibo e per chi lo ha preparato: ricevere il cibo è ricevere la vita e ogni volta che accade è un buon motivo per ringraziare.

La seconda parola che imparai a usare quella sera fu “kampai“, che viene dall’unione dei kanji che rappresentano il bicchiere e il vuoto: far toccare rumorosamente i nostri 3 boccali di Asahi ghiacciata e strillare “kampai!!!” è stato l’augurio, come mi hanno spiegato, a “svuotare” quel momento dalle preoccupazioni, così come si fa allo stesso tempo col boccale.

Coreografie inattese

Non vi spaventate se vedrete autisti degli autobus e addetti delle ferrovie che si prodigano in coreografie fantasiose durante le quali indicheranno punti a caso intorno a loro o faranno marcette avanti e indietro lungo il vagone: una serie di gesti e movimenti del corpo che faranno invidia al più svezzato dei tiktoker!
potrà farvi sorridere, ma si tratta di una cosa molto seria prescritta nientemeno che dall’Istituto Nazionale per la Salute e la Sicurezza del Giappone: dovrebbe chiamarsi “sistema dell’indicare e dire” (shisa kanko). Ad ogni mansione viene associata una serie di gesti, movimenti e frasi da ripetere in momenti specifici del lavoro che hanno lo scopo di aumentare la concentrazione evitando così il rischio di incidenti da disattenzione.

Un’altra occasione di perplessità vi sarà offerta da alcuni negozi (per mia esperienza in famose catene di abbigliamento) in cui i commessi non vi faranno alcuna pressione: qui non si usa l’assalto all’acquirente ma il personale vi accoglie con un benvenuto al vostro ingresso e poi interviene solo se interpellato. Nel frattempo, però, vi sembrerà di essere alla processione del venerdì santo, circondato da vecchine che recitano le litanie dei santi nelle corsie vicine! Se sperate che vi spieghi cosa dicono, vi devo deludere: ho capito solo un “gozaimasu” finale, ma il resto è mistero. Secondo me, serve a far capire dove puoi trovarli se hai bisogno di loro, ma questa prendetela come una mia ipotesi: normalmente faccio la faccia tosta e chiedo spiegazioni, ma mi sembrava brutto andare dalla commessa a chiedere “che stai cantando e perché?”.
Se lo scoprite, vi prego, scrivetemi per dirmelo: giuro che pubblicherò la vostra risposta con tanti ringraziamenti da parte mia!

In taxi, le portiere si aprono da sole e i soldi si appoggiano sul vassoietto.
In taxi, le portiere si aprono da sole e i soldi si appoggiano sul vassoietto.
Sui pavimenti in legno o tatami si cammina rigorosamente senza scarpe!
Sui pavimenti in legno o tatami si cammina rigorosamente senza scarpe!
Occhio ai segnali prima di salire nei vagoni: questo, ad esempio, è riservato solo alle donne!
Occhio ai segnali prima di salire nei vagoni: questo, ad esempio, è riservato solo alle donne!
Anche se questo cantiere è qui per il tuo bene, scusa se ti sto facendo perdere tempo!
Anche se questo cantiere è qui per il tuo bene, scusa se ti sto facendo perdere tempo!

1 comment

Cosa mangiare in Giappone - Lallero 2025-07-09 - 18:57

[…] Se vuoi saperne di più sugli usi e costumi legati al pasto, ti consiglio di leggere quanto ho scritto nell’articolo sulle buone prassi nella cultura giapponese. […]

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