L'Ammiraglio Matthew Calbraith Perry in un'immagine generata da AI.

Lo schiaffo di Perry

Come trasformare un problema in un'opportunità

by Nemo

Quando Perry partì per il Giappone

C’è un episodio importante della storia giapponese che vale la pena raccontare per comprendere meglio l’indole nipponica a trovare sempre il meglio in ogni situazione, una sorta di resilienza imposta dagli eventi.
Siamo nel 1853: l’ammiraglio Matthew Calbraith Perry (metto sempre il secondo nome per evitare giochi di omonimie col compianto Matthew Perry, attore di Friends) ha una missione importante affidatagli da Millard Fillmore, il 13° presidente degli Stati Uniti . approdare sulle coste del Giappone, allora definito “Paese Chiuso”, e stabilire una nuova alleanza commerciale.

Le navi nere

Dopo quasi un anno di navigazione, Perry approda nella Baia di Edo ma non viene accolto bene: le leggi, infatti, vietano agli stranieri di entrare nel territorio giapponese e i commercianti devono procedere verso l’isola di Dejina, presso Nagasaki, per trattare con gli olandesi che erano gli unici ad avere un accordo di commercio diretto.
Perry ha con sé quattro navi: MississippiPlymouthSaratoga Susquehanna. Hanno uno scafo scuro e, per questo, verranno denominate “le navi nere“.  Oltre all’estetica, però, hanno la caratteristica importante di una dotazione di armamenti moderni che permette a Perry di dare una dimostrazione della forza distruttiva americana: i cannoni, infatti, hanno una forza e una gittata più ampia di quelli giapponesi che erano rimasti indietro di due secoli a causa della chiusura all’estero.

Lo Shogun, quindi, subì i colpi senza avere la forza militare per rispondere: il ritorno alle tradizioni aveva preparato molti guerrieri ad abbracciare l’onorevole spada, ma questo non serviva molto contro i cannoni!

Il 14 luglio 1853 Perry approdò a Kurihama, consegnò la lettera e diede ultimatum: sarebbero tornati qualche mese dopo per la risposta che, con le buone o con le cattive, avrebbe dovuto essere positiva.

La resa dello Shogun Tokugawa

Perry tornò in anticipo rispetto all’ultimatum, a febbraio del 1854, ma stavolta con 7 navi, probabilmente con l’intento di approdare con la forza, invece il pragmatismo giapponese aveva prevalso: dal momento che le forze nemiche erano oggettivamente superiori, lo Shogun Tokugawa Iesada aveva predisposto l’accoglienza dagli americani organizzando la festa che si addice alla stipula di un nuovo trattato commerciale.
Il 31 marzo 1854 venne firmata la Convenzione di Kanagawa, chiamata anche Trattato di amicizia e pace tra Giappone e Stati Uniti (Nichibei Washin Jōyaku) nella quale vennero accettate quasi tutte le richieste contenute nella lettera del presidente Fillmore. Nonostante ciò, le trattative tra le parti durarono per 23 giorni in un edificio realizzato per l’occasione a Yokohama.

L’accordo commerciale USA-Giappone

Fino a qui vi ho raccontato la storia del trattato.
Una prima curiosità è che, se per gli USA firmò il commodoro Matthew Perry della Marina degli Stati Uniti in vece del presidente Fillmore, per il Giappone firmò lo shōgun Tokugawa Iesada che, come sappiamo, non era un emissario dell’Imperatore (che, peraltro, non avrebbe mai trattato direttamente con gli stranieri). Il trattato fu comunque accettato e applicato dall’imperatore Meiji, appena quindicenne, ma tanto bastò per aprire la crisi che avrebbe portato in breve tempo alla fine dell’istituzione dello shogunato.

In questa storia c’è un fatto marginale, forse troppo sottovalutato, che mi ha suscitato una riflessione: di seguito vi riporto il fatto, mentre per le mie elucubrazioni personali vi rimando al box del diario di viaggio.

Come da tradizione, la conclusione di un affare prevede l’organizzazione di una festa. Lo shogun organizza l’evento e gli ospiti stranieri si presentano con alcuni doni:

  • alcol, tra cui delle bottiglie di whisky,
  • un telegrafo,
  • una rudimentale macchina fotografica,
  • un modellino di treno in scala 1:4.

Questo trattato apre le porte a nuovi accordi commerciali, come accadrà negli anni successivi con la Russia, la Francia e l’Inghilterra.

La documentazione

Se vi state chiedendo come mai ai giorni nostri si conoscono così tanti dettagli delle gesta che portarono al trattato di Kanagawa, la risposta è nelle memorie che l’ammiraglio Perry scrisse una volta tornato in patria: ben 3 volumi dal tutolo “Racconto della spedizione di uno squadrone americano in Cina e in Giappone“, scritto e pubblicato tra il 1855, anno in cui Perry tornò in America, e il 1858, anno della sia morte.

Se foste curiosi, la conferma che Perry partì su ordine del Presidente Fillmore (marzo 1852) e consegnò la lettera presidenziale nel luglio 1853, rientrando poi con la firma del Trattato di Kanagawa nel marzo 1854 è contenuta negli atti messi a disposizione dal Naval History and Heritage Command dello U.S. Navy. La documentazione è indicata in questa pagina. In questa pagina del sito della Library of Congress, invece, c’è la cronistoria degli eventi della seconda visita di Perry al Giappone del 1854.

Dal lato nipponico, invece, gli eventi sono ampiamente descritti nel documento storico “The Black Ships Shock” che cita: “In 1853, Commodore Matthew Perry led a fleet of black ships…” e descrive chiaramente i fatti. Questo testo è consultabile in questa pagina del sito nippon.com che vi consiglio di guardare perché è accompagnato da bellissime immagini originali (che chiaramente non posso riprodurre qui per questioni di copyright) dell’Archivio Storico di Yokohama.

In quest’altra pagina, invece, potete trovare alcune informazioni curiose come la lista delle navi di Perry e l’elenco dei regali che portò con sé alla volta dell’oriente.

Link esterni

Documenti sull’impresa di Perry


Se non posso mostrarvi immagini protette da copyright, posso però fornirvi alcune chicche speciali, come l’accesso al PDF del diario “Narrative of the expedition of an American squadron to the China seas and Japan performed in the years 1852, 1853 and 1854 under the command of Commodore M.C. Perry, United States Navy” pubblicato dal Congresso degli Stati Uniti.
Ve ne metto diversi perché a volte i collegamenti possono non funzionare:

Ti serve un ripasso veloce della storia del Giappone?
Ti serve un ripasso veloce della storia del Giappone?
I treni giapponesi sono un'eccellenza riconosciuta in tutto il mondo
I treni giapponesi, qualche secolo dopo Perry, sono un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo
In posa con uno dei più bei castelli del Giappone!
Cosa sarebbe un viaggio senza una macchina fotografica per immortalarne i ricordi?

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Lallero.itLa capacità di evolvere

Diario di Viaggio


Come promesso, qui partono i miei pensieri… e li argino nel Diario di Viaggio perché voglio che sia chiaro che sono riflessioni personali scevre dal carattere storico degli eventi raccontati.
Mentre viaggiavo sullo Shinkansen nei miei spostamenti interni tra le tappe del mio viaggio in Giappone, ogni tanto avevo problemi a mettere a fuoco il paesaggio circostante per via della velocità: gli oggetti troppo vicini venivano deformati e a volte ed era molto meglio concentrarsi sulla visione d’insieme. Le foto che ho fatto fanno talmente schifo che mi vergogno a pubblicarle, anche se ho una reflex Nikon semiprofessionale che però utilizzo sempre nella modalità automatica.

Parto proprio da qui con la mia riflessione: il sistema di ferrovie giapponesi è un capolavoro di ingegneria e di precisione, tanto da aver fatto scuola al mondo intero. La precisione, l’affidabilità, l’efficienza del servizio sono qualcosa di unico che ho difficilmente trovato nel mondo. A volte sono “troppo” precisi e ti ritrovi fuori dalle porte perché sei arrivato con pochi secondi di ritardo, ma questo fa parte del gioco quando la società tutta si basa sul rispetto delle regole. Potremmo discutere sulla necessità di equilibrio tra rigore e flessibilità in nome dell’empatia verso il fruitore del servizio, ma rimando questo pensiero ad altri momenti.

La mia riflessione

Per darvi un’immagine, mentre “indicavo la luna”, mi sono stranamente fissato a “osservare il dito”, nel senso che fa riflettere il pensiero che sia il treno (e non solo lo Shinkansen), che la macchina fotografica (la Nikon, per chi non ,o sapesse, è un’azienda di Tokyo) sono delle eccellenze giapponesi conosciute in tutto il mondo che però non nascono in Giappone!
Se il commodoro Perry non avesse minacciato lo shogun e non lo avesse costretto a scendere a patti, non ci sarebbe stato il famoso regalo che ha permesso ai samurai di conoscere il treno e la macchina fotografica. Per non parlare del whisky giapponese, che oggi è tra i più rinomati (e costosi) al mondo e sembra (se nessuno mi smentisce) che le prime distillerie nacquero nel 1870, e cioè dopo che Perry offrì il whisky alla festa per il trattato.

Tagliando corto con gli esempi, il punto è che spesso non è così importante chi inventa qualcosa ma il modo in cui quel qualcosa viene usato: l’ingegno (che guardacaso costituisce l’etimologia della parola “ingegnere”) è ciò che mette a frutto un dono o una scoperta. Quante volte ho sentito miei connazionali criticare ciò che arriva da fuori dei confini perché “questa cosa l’abbiamo inventata noi“, senza pensare che forse gli “altri” sono riusciti a usare quella cosa meglio di quanto abbiamo saputo fare noi che, innegabilmente, l’abbiamo scoperta o inventata.

La morale che ci ho trovato

A mio modesto parere, l’unico limite del genio è la fantasia e la capacità di spingersi oltre la conoscenza: lo studio, l’impegno, la capacità di evolvere e innovare sono la chiave del successo nel progresso. Mettere in comune le idee, per qualcuno, può essere il rischio di perdere il primato su esse, ma per me è il solo modo per unire cervelli diversi e lontani e costruire un mondo migliore.

Il Giappone non ha rifiutato i doni americani, ma li ha messi a frutto e li ha migliorati: da studente ho viaggiato sui treni  delle tratte interne dell’Illinois e ho sperato che il vagone non si decomponesse lungo il cammino, mentre sui trenini delle tratte montane delle Alpi giapponesi, un omino sorridente in guanti bianchi spolverava i sedili prima di farci salire in vettura in perfetto orario.
Credetemi, non è chi ha l’idea a fare la differenza, ma chi la usa meglio!

In questo contesto faccio mio il motto dell’Amerigo Vespucci: «Non chi comincia ma quel che persevera».
Restare ciecamente ancorati alla tradizione, a volte, può voler dire perdere l’occasione di evolvere in meglio.

Il Zojo-ji e la Tokyo Tower
Il Zojo-ji e la Tokyo Tower: la tradizione accanto alla modernità a testimoniare la capacità di evoluzione del Giappone.

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Storia del Giappone moderno. Dalle cannoniere dell’ammiraglio Perry a Hiroshima e Nagasaki

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La storia del Giappone:
Un viaggio nel tempo

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Storia completa del Giappone – 2 libri in 1: Dall’antichità alla cultura pop contemporanea

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