Il sito storico lungo la via
Vatnsdalshólar, nella regione del Norðurland vestra (la Terra del nord-ovest) è un gruppo di colline situato nella regione nordoccidentale dell’Islanda. Si trovano all’estremità settentrionale di Vatnsdalur in un’area di circa 5,5 km2. Ora, la vostra domanda dovrebbe essere “e perché ci stai mandando là?“.
Tranquilli: non vi ci mando io ma vi ci porta la Ring Road mentre attraversate la regione in direzione del Vesturland
(la Terra dell’Ovest) o dei Vestfirðir (i bellissimi Fiordi occidentali).
In particolare, neanche 1 minuto dopo aver superato l’insignificante incrocio con la strada n.721 (a destra) e la n.722 (a sinistra) troverete un altrettanto insignificante cartello blu che indica di svoltare a destra per Þrístapar.
Non vorrei farvi perdere ammirazione per la mia preparazione sull’Islanda, ma devo confessarvi che ho trovato questo sito solo perché cercavo un buon punto per fare una sosta pipì… (per la cronaca, la sosta pipì è stata rimandata dopo aver scoperto il significato di questo luogo).
Vi ho sempre parlato dell’Islanda come di un Paese avanzato e liberale e degli islandesi come coloro che hanno inventato il primo parlamento democratico e rappresentativo della storia del mondo. Eppure esiste un passato in cui vigevano regole tutt’altro che umane, come la pena capitale (se cogliete un mio personalissimo disappunto verso quei Paesi che ancora praticano questa barbarie, non posso smentirvi).
La storia di Agnes e Friðrik
L’ultima esecuzione in territorio islandese è stata eseguita il 12 gennaio 1830 con un atto che fece discutere molto l’opinione pubblica e cioè la decapitazione di Agnes Magnusdottir di 33 anni e Friðrik Sigurdsson di 19 anni, entrambi domestici. I due furono accusati del misterioso omicidio di Natan Ketilsson, un contadino di Illugastaðir, e di Pétur Jónsson della fattoria “Geitaskarð” avvenuto il 14 marzo di 2 anni prima.
Dopo un lungo processo che arrivò fino alla Corte Suprema di Copenaghen, Agnes e Friðrik furono condannati a morte e la sentenza fu eseguita proprio in questo luogo. Si racconta che Friðrik volle vedere e baciare l’ascia che l’avrebbe ucciso dicendo le parole:
Questo è lo strumento benedetto di giustizia che ho meritato per i miei peccati. Sia lode a Dio per questo.
La sua testa venne mozzata con un solo colpo di ascia che restò incastrata nel ceppo. Ci volle la forza di due uomini per estrarla. I loro corpi furono successivamente sepolti nel cimitero di Tjörn a Vatnsnes.
In realtà, l’ultima pena capitale d’Islanda risalirebbe al 1913, ma la sentenza fu modificata in una pena detentiva cosicché l’esecuzione di Þrístapar fu effettivamente l’ultima.
Grazie a una serie di targhe in bronzo deposte in terra e a una breve passeggiata, in pochi minuti arriverete alla collinetta dell’esecuzione e potrete leggerne la storia, unitamente ad alcune riflessioni riguardo la pena di morte in tutto il mondo.
Se vi foste appassionati alla storia, questo caso ha ispirato il film islandese del 1995 “Agnes” di Egill Eðvarðsson e il romanzo “Burial Rites” della scrittrice australiana Hannah Kent.
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Dalla mitologia al pascolo
Diario di Viaggio
Percorrendo lo stretto sentiero che porta al luogo dell’esecuzione mi sentii osservato…
Se fossimo in un romanzo horror, questo sarebbe un buon inizio per storie di fantasmi legate alle anime delle persone giustiziate, ma la pura realtà di campagna è che, al di là della recinzione alla mia sinistra, c’era una piccola mandria di cavalli islandesi.
Per chi non lo sapesse, il cavallo islandese è una razza rinomata in dai tempi antichi. Discendente dei pony dei coloni scandinavi dell’IX e X secolo, nel XII secolo divennero oggetto di venerazione nella mitologia norrena. Pesa dai 330 ai 380 kg e misura tra i 132 e i 142 cm al garrese. Sì, avete capito bene: sono piccoli e tozzi!
Gli islandesi direbbero che sono robusti, e infatti li utilizzano sia per i lavori, sia come fonte di cibo, ma a vederli al pascolo sembrano dei paciosi pony sovrappeso e con tanti peli.
Mi sono fermato a fare qualche foto e subito tre di essi mi si sono parati davanti… per un attimo ho avuto paura che avessero un istinto di protezione del territorio e che volessero farmelo capire, ma nel giro di un minuto, dopo una breve osservazione reciproca, mi porgevano il muso a turno per essere accarezzati.
Sembrava di toccare dei cucciolotti avvolti nella moquette, tanto erano morbidi e docili.
Per farvi capire quanto gli Islandesi siano fieri dei loro cavalli, sappiate che c’è una semplice regola per preservarne la razza: nessun cavallo può entrare dall’estero e, se un cavallo islandese esce dai confini dello stato, non può più farvi ritorno. Anche per questo, i cavalli islandesi sono considerati tra i più robusti e gli si impedisce di prendersi malattie importate dall’esterno.






