Humar bolliti

Cosa mangiare in Islanda

by Nemo

Dalla natura alla tavola

Mangiare in Islanda è una questione di semplicità. Quando siete incerti su cosa provare, fingetevi un piccolo puffin che volteggia sulle scogliere e guardatevi intorno: se la natura vi mette qualcosa a disposizione, allora quella sarà la scelta giusta.
L’Islanda ha una natura incontaminata, una terra vulcanica ricca di minerali, sterminati pascoli, acqua a non finire, originata prevalentemente dai ghiacciai, pura come poche al mondo al punto che può essere bevuta direttamente dai fiumi e dalle cascate…
La forza dell’Islanda non risiede in una grande tradizione culinaria, sebbene abbia radici legate alle antiche tribù vichinghe, ma piuttosto nella qualità delle proprie materie prime. Le carni da pascolo, la selvaggina, i frutti selvaggi della terra, il pesce dell’oceano. Tutto ciò che proviene dall’isola vi darà la garanzia di freschezza, bontà… ed economicità. Sì, perché è abbastanza logico che, se cercate prodotti europei o internazionali che vengono importati, vi accollerete anche le spese di acquisto e di trasporto!

Quindi, mettetevi comodi e gustate ciò che questa terra ha da regalarvi, perché è pronta a stupirvi anche a tavola!

Lo spettacolare Fish & Chips del porto di Husavik
Lo spettacolare Fish & Chips del porto di Husavik
Non chiamatelo baccalà!
Ad Hauganes non chiamatelo baccalà!
Il salmerino artico di Vik
Il salmerino artico di Vik con le immancabili patate
Il tradizionale plokkfiskur, una zuppa cremosa di halibut e patate con crostini e burro
Il tradizionale plokkfiskur, una zuppa cremosa di halibut e patate con crostini e burro

Il pesce

Normalmente una cena a base di pesce verrebbe associata a qualcosa di dispendioso, ma qui in Islanda verrete smentiti.
È chiaro che se andrete in un ristorante esclusivo e trendy di Reykjavik potreste trovarvi spiazzati con i prezzi, ma in generale il pesce dei mari islandesi è tra gli ingredienti principali di qualsiasi ristorante, osteria, bistrot o bar che troverete lungo il vostro cammino. Questo perché la tradizione della pesca in Islanda ha radici che si tramandano dai tempi dei vichinghi e perché è più facile pescare un salmone o del baccalà e averlo in tavola il giorno successivo che ordinare e importare delle bistecche di manzo dall’Europa continentale. Oltre al fatto che è mediamente più economico.

In più, vi devo avvisare che spesso non sarà facile associare i nomi dei pesci ai sapori che assaggerete… e dico questo in positivo: in Islanda ho finalmente dato una ragione all’esistenza del baccalà, specialmente nel nord, dove intorno ad Hauganes ho assaggiati una delle carni di baccalà più buone che abbia mai trovato. No, mi correggo: la più buona. E da allora non ne ho mai trovata una simile. Forse perché per esportarlo viene sottoposto al processo die essiccazione e salatura, che a mio avviso gli toglie gran del sapore che ha da fresco a beneficio di una conservazione più duratura.
Un piatto tipico che potreste trovare nei menù è il plokkfiskur, a base di baccalà con patate e cipolle

Il merluzzo e il salmone non sono da meno: le acque dell’Oceano Atlantico settentrionale ne ospitano così tanti che, oltre a provvedere al fabbisogno di tutta l’isola, l’industria ittica è famosa per le esportazioni in tutto il mondo. Il salmone è presente ovunque, dalla colazione ai pasti principali, fino agli snack nei locali notturni. Credo sia anche parte del DNA degli islandesi. Ha un sapore deciso e una carne più consistente dei cugini scozzesi e canadesi, anche se fino a oggi il miglior salmone che abbia mai mangiato aveva la maglia norvegese.
Potete trovare salmone e merluzzo preparati nella maniera tradizionale e cioè bolliti o stufati, ma anche cotti sulla griglia, anche se il miglior modo per mangiare il merluzzo resta sempre il fish & chips (ho mangiato il più buono del mio viaggio al porto di Husavik).

Parente stretto del salmone (almeno alla vista) è il salmerino artico, che si trova frequentemente nelle proposte di menù della regione del sud (ne ho mangiato uno strepitoso nel villaggio di Vik).

Non di rado vi capiterà di vedere a menù o nel piatto del giorno una zuppa di pesce. Un titolo molto comune è il plokkfiskur, uno stufato di halibut in una salsa cremosa a base di latte e farina, condito con pepe e accompagnato con le patate. SI consuma caldo e spesso viene servito con crostini di pane e burro.

E anche se ci sarebbe da citarne tantissimi altri, voglio dedicare qualche riga a una prelibatezza che ho mangiato solo in Islanda, e cioè gli humar, il cui nome viene spesso tradotto in aragostine atlantiche o scampi artici, ma in realtà nessuna di queste definizioni calza a pennello perché si tratta di qualcosa che ha una definizione propria essendo simile ad altre specie (aragoste, scampi e mazzancolle) ma è comunque unica nel suo genere.
È tipico del villaggio portuale di Höfn, vicino alla laguna di Jökulsárlón, che è considerato la capitale degli humar. Visto che si possono mangiare freschi solo in islanda, non mi sono risparmiato nel provarli in tutti i modi! Io vi consiglio la versione bollita: è il modo in cui vengono vi a dal carapace con più facilità e potete gustarne la carne saporita, consistente e compatta, a mio avviso molto migliore della stessa aragosta a cui gli humar vengono paragonati.

Chiudo con una piccola smorfia di disgusto che, se anche può essere giustificata dal punto di vista del gusto, non lo è per l’importanza che un certo piatto riveste nella tradizione islandese: sto parlando dello squalo fermentato, o hákarl.
Nonostante non sia più parte della cucina casalinga (in effetti credo si prepari solo a beneficio dei turisti), è un simbolo della forza con cui gli antichi islandesi riuscissero ad adattarsi alla natura traendone il meglio per sopravvivere.
Lo squalo faceva parte degli alimenti comuni (evidentemente era facile catturarlo e ci si mangiava abbondantemente), ma andava conservato nei rigidi inverni, quindi venne sviluppata questa tecnica per cui veniva seppellito, essiccato, affumicato e lasciato fermentare per settimane. Una antica tradizione parla addirittura di urina usata come liquido per stimolare al fermentazione, ma smetto qui perché il disgusto cresce.
Sia l’odore che il sapore sono eccessivamente forti anche per gli stomaci più smaliziati, quindi viene spesso servito in abbinamento a una grappa molto forte, chiamata Black Death che serve a coprire l’odore tipico della carne putrida. Per conoscere la storia e il carattere degli islandesi, almeno un morso va assaggiato!

Humar bolliti
Humar bolliti
Humar fritti
Humar fritti
Il panino con le aragostine della laguna
Il panino con gli humar della laguna
Zuppa di merluzzo, patate e altri ortaggi
Zuppa di merluzzo, patate e altri ortaggi di stagione
Sua maestà l'agnello islandese
Sua maestà l'agnello islandese
Cena tipica con agnello, patate e birra Viking
Cena tipica con agnello, patate e birra Viking

…e di contorno?

Neanche a dirlo: se in tavola mancano le patate, probabilmente il cuoco è in immigrato che non ha vissuto abbastanza in Islanda! Grandi o novelle, le troverete in 3 o 4 forme immancabili, ovvero bollite, fritte o in forma di purea, aromatizzate sempre con erbette e aromi locali e freschissimi che le trasformeranno in… qualcosa di più.
A volte saranno inondate di qualche salsa a base di vegetali, e altre volte saranno servite solo con il sale e qualche erba. Ma non mancheranno le versioni caramellate, spadellate con olio e cipolla e via dicendo  al buon cuore del cuoco di turno.
Quel che è certo è che le patate sono immancabili sia con il pesce che con la carne.

Accanto alla regina della tavola, ci sono chiaramente tutti i vegetali che la terra d’Islanda produce, come cavolfiori, asparagi e pomodori. Sì, non avete letto male: poiché l’Islanda ha il problema del costo degli approvvigionamenti, ha una lunga tradizione agricola che, nonostante le condizioni climatiche spesso avverse, garantisce l’autosufficienza in termini di materie prime della terra. Persino frutti come i pomodori o i cetrioli, tipici di un’agricoltura mediterranea, vengono prodotti a tonnellate, ad esempio, nella zona di Hveravellir in una delle più grandi fattorie vegetali dell’Islanda che utilizza serre riscaldate dalle vicine sorgenti calde che fuoriescono dalla terra.

Il sale nero

Una nota importante sul sale islandese: poiché storicamente era complicato far bollire l’acqua marina per estrarne il sale a causa della mancanza di legna, l’ingegno islandese sviluppò un procedimento che sfruttasse le caratteristiche naturali del proprio territorio. Il flögusalt þurrkað með jarðvarma è il cosiddetto “sale nero” e viene prodotto utilizzando i vapori costanti delle sorgenti geotermali per essiccare le alghe marine in un contesto privo di qualsiasi inquinamento.
Ciò che si ottiene è un sale composto da grandi cristalli neri che si sgretolano facilmente ed è ricchissimo di minerali. Oltre alla purezza degli elementi, sono i vapori che escono dal terreno a temperature comprese tra i 90 e i 100 gradi a fare il lavoro principale, dando al processo la caratteristica di sostenibilità totale per l’ambiente in quanto non ci sono emissioni né di anidride carbonica, né di metano e l’energia è totalmente naturale.

Anche se è sempre nero, c’è un altro tipo di sale da non confondere col precedente, e cioè il sale lavico, che invece sfrutta le formazioni di cristalli sul terreno vulcanico. Viene spesso miscelato con carbone e presenta una consistenza maggiore e un sapore più intenso. Per questo è più utilizzato con i piatti a base di pesce.

Confronto tra culture

La tradizione della cucina islandese annovera anche altri piatti di cui, però, non ho voluto fare esperienza, come la pulcinella di mare (ahimé, i teneri puffin) e la balena. Il mio rifiuto all’assaggio non vuole essere una forma di giudizio, sia chiaro: la storia di un popolo passa attraverso tradizioni derivate molto spesso dalla necessità di adattarsi e interagire col territorio che abitano. Ciò che a noi può sembrare strano è parte della cultura di un altro popolo e non va giudicato, un po’ come vorremmo che fosse fatto a parti invertite.

La carne

Dovete considerare che l’aria quasi priva di smog, i pascoli sconfinati, l’acqua pura e tanta libertà lasciata agli animali (che, tanto, dove possono andare su un’isola? E non ci sono neanche predatori a minacciarne l’incolumità!) conferiscono alla carne islandese una consistenza e un sapore noto in tutto il mondo. Molti chef di fama internazionale ordinano spedizioni di agnello islandese per preparare i loro piatti.
E se lo assaggiate, capite il perché.
Normalmente associamo il sapore dell’agnello ai pasti delle feste, quando i sapori forti predominano sul resto e alla fine non ci capisci più niente. Ma se, lungo il tuo viaggio tra i fiordi e i villaggi d’Islanda, ti fermi ad assaporare un semplice piatto di agnello preparato in modo semplice con tante erbette e le immancabili patate a fargli da cornice, scoprirai che può essere delicato, gustoso e con nulla da invitare a carni più blasonate.
Un piatto tradizionale, spesso presente nei menù, è l’hangikjöt, un arrosto di agnello affumicato.

Oltre agli agnelli, a cibarsi solo di erba e fieno senza la possibilità alcuna di imbattersi in ormoni o altre sostanze innaturali, sono le pecore e i montoni.

Anche se la griglia è sempre presente, la preparazione più affine alla tradizione islandese è la cottura lenta. Considerate che, specialmente nelle aree geotermali, in epoche passate erano gli stessi ambienti naturali e il vapore che usciva dal terreno a fornire i mezzi per la cottura.

Un consiglio personale: evitate di chiedere salse che non siano quelle fatte con le erbette o i vegetali di stagione che vi vengono serviti con la carne se non volete urtare la suscettibilità dei cuochi locali. È un po’ come quando in Italia un turista chiede un cappuccino per accompagnare gli spaghetti alle vongole o quando vi parlano della pizza con l’ananas.
Io vi ho avvisato!

Ah… un’altra cosa importante: siate preparati al fatto che dell’animale non si butta via niente, quindi c’è una particolare tradizione per la cucina del quinto quarto in molti modi, alcuni dei quali richiedono uno stomaco forte.
Ad esempio, se vi offrono un hrútspungur prima di accettare dovete essere consapevoli che si tratta dei testicoli del montone che, dopo essere stati marinati nel siero del latte vengono pressati per essere serviti in forma di torta.
Un altro pezzo forte (o per stomaci forti) è lo svið, ovvero la testa di agnello bruciacchiata, tagliata a metà ma con gli occhi ancora nelle orbite, a volte bollita e mangiata fresca e altre servita fredda dopo essere stata conservata in salamoia. Oltre a essere un po’ macabro come piatto, personalmente non saprei da dove iniziare per mangiarla, ma se lo chiedi a un islandese, ti dirà che si tratta di una prelibatezza riservata a pochi fortunati.

Col pesce non sbagli mai

Diario di Viaggio

Ricordatevi che siamo nel nord e quindi, a una certa ora le cucine chiudono senza alcuna possibilità di appello!
Fu per me una dura lezione da imparare quando da romano andai a lavorare a Trieste e, per quanto tu possa pregare i ristoratori o fare i chilometri a piedi, se la cucina è chiusa, poco conta che tu sia un turista che si era perso tra le bellezze del posto e la passione per la fotografia!
In casi come questi sono utilissime le scorte di cibo essiccato che tieni nel baule della macchina, oppure gli snack che ti danno per accompagnare i cocktail o le birre nei locali serali, ma non è esattamente il pasto che vorresti alla fine di un’intensa giornata di viaggio.

In una di queste sere, in cui mi ero attardato al porto vecchio di Reykjavik dopo un’escursione alla ricerca delle balene (che poi si è risolta nell’inseguimento di un branco di delfini), mi sono ritrovato nella condizione di vedermi dire di no da tutti i ristoratori che interpellavo lungo la strada.
A salvarmi fu – giuro – la vista della bandiera italiana. Normalmente mi tengo alla larga dalla cucina italiana all’estero… non perché abbia la puzza sotto il naso o perché accusi un’aritmia quando vedo spezzare gli spaghetti per cuocerli, o perché ancora mi chiedo chi diavolo sia questo Alfredo che fa la salsa più amata dagli italiani, ma perché all’estero mi piace mangiare secondo gli usi e le tradizioni locali.
In questo caso, oltre alla fame, le mie difese calarono quando vidi che a gestire il locale era un ragazzo di etnia indiana e che le cose a menù avevano origini in molti posti fuorché nella tradizione italiana (non ricordo il kebab di agnello o di salmerino nelle nostre sagre paesane).

Chiaramente, era tardi anche per lui e la cucina era chiusa ma mi propose di prepararmi “una padellata di cose miste con quello che aveva”. Non avevo molta fantasia per chiarire il concetto di “cose miste”, quindi accettai con entusiasmo: è in questi momenti che provi le cose migliori del tuo viaggio, un po’ per coraggio, un po’ per botta di cXXo. Mi andò benissimo!
Il mio nuovo amico, infatti, mi passò da dietro il bancone una padellona rovente da portare direttamente al tavolo in cui aveva messo del salmerino artico, dei gamberetti, delle patate e un po’ di ortaggi. Tutte cose semplici ma, vi assicuro, con un sapore favoloso! E poi, volete mettere l’ebrezza di mangiare direttamente dalla padellona?
Nonostante fosse stato cotto tutto insieme, ogni elemento era distinguibile ma, nell’insieme, c’era un’armonia di pesce e verdure che mi fece venire voglia di provare a riprodurlo una volta tornato a casa. Fallendo miseramente.

Padellata di pesce e vegetali
Padellata di pesce e vegetali

L’hot dog a Reykjavik?!?

Avete ragione a essere stupiti: che c’entra l’hot dog in Islanda?
Apparentemente, niente, eppure nella capitale è diventata una tradizione dello street food. C’è, ad esempio, una piccola catena che potete trovare a un paio di isolati dalla centralissima piazza Lækjartorg, a due passi dall’Harpa, che si chiama Bæjarins Beztu Pylsur (letteralmente, “il migliore hot dog della città“) che offre hot dog spettacolari con carne mista di agnello (chiaramente), manzo e maiale. Per completare il panino avete a disposizione le cipolle crude, le cipolle fritte, le salse classiche come il ketchup o la senape del nord Europa (un po’ più forte di quella che usiamo noi) oppure la remoulade, una salsa a base di maionese, capperi, senape e erbe aromatiche, o la pylsusinnep, un altro tipo di senape marroncina. Vabbè, io ci ho messo tutto! Se volete farlo anche voi dovete dire semplicemente “eina með öllu” (uno con tutto).
Chiaramente si accompagna con la birra!

Essendo uno street food, va consumato rigorosamente in piedi, cercando un punto in cui scolare senza coinvolgere i propri vestiti e, come tante altri cibi da strada che prevedono una coda, favorisce l’incontro e la socializzazione (sì, intendo proprio che è un buon posto per attaccare bottone, ma io non ve l’ho mai detto!)

…e per i vegetariani?

Nessun timore per chi non mangia carne e pesce: come detto più volte, le verdure e i frutti della terra d’Islanda sono tra i più saporiti e ricchi di minerali in Europa. Il terreno vulcanico, l’acqua dei ghiacciai, lo scarso – se non assente – inquinamento, il calore delle sorgenti geotermali e la tecnologia dell’industria agricola islandese garantiscono materie prime ineguagliabili che la cucina tradizionale nordica trasforma in piatti adatti a ogni palato.

I dolci

I dolci sono stati una grande scoperta. Mi aspettavo, certo dei buoni ingredienti data la freschezza e la genuinità delle materie prime (dai prodotti caseari alla frutta) ma devo dire che sono rimasto stupito dalla fantasia e dalla sperimentazione nella realizzazione di dolci non solo buoni, ma anche belli da vedere. Per quanto riguarda le torte e i dessert, quindi, lasciatevi incuriosire e consigliare dai ristoratori che incontrerete: non sono mai riusciti a deludermi. Mettete in conto, però, che dovete amare la cannella per essere felici da queste parti!

Il dolce più semplice è stato una coppa di skyr con marmellata e frutti di boschi freschi, mentre i più elaborati prevedevano torte con mela e cannella o brownie al cioccolato farciti con crema alla vaniglia e ricoperti di mirtilli freschi. Per sapere cosa sia lo skyr, leggete la sezione di questa pagina relativa al supermercato.
Se volete restare sulla semplicità e su un sapore tutto sommato conosciuto, potete ripiegare sui classici Waffel che però, anche se sono molto diffusi e personalizzati con gli ingredienti della terra islandese, sono di origine anglosassone, siatene consapevoli!

Se volete andare sul dolcetto fritto, potete scegliere tra il kleinur, che sarebbe una ciambellina fritta che ricorda un po’ la zeppola e un po’ la frappa nostrana, e il pönnukökur: una specie di rotolino fatto con sfoglie fritte sottili con tanta cannella (vi avevo avvisato, giusto?).
Un altro tipo di frittella merita due parole in più per la sua storia: una storia popolare narra di un marito che, per punire la moglie infedele, fece visita al suo amante e lo uccise asportandone i testicoli, che poi nascose in delle frittelle per darli in pasto alla moglie. Sì, lo so da me che fa un po’ schifo detta così, ma da questa leggenda nasce la tradizione degli ástarpungur islandesi, che letteralmente le “palle dell’amante“, ovvero delle frittelle morbide di forma rotonda. Alcune volte hanno dentro l’uvetta.

E se non siete amanti della cannella, dovrete almeno esserlo della liquirizia, che domina le scansie degli autogrill e delle stazioni di servizio. Naturale, abbinata al cioccolata o nella versione salata è uno dei cavalli di battaglia dell’Islanda in fatto di snack!

Brownie con mirtilli e gelato
Brownie con mirtilli e gelato
Torta di mele e cannella con gelato alla vaniglia
Torta di mele e cannella con gelato alla vaniglia
Cinnamon roll e scones caldi da riempire con burro e marmellata di frutti di bosco
Cinnamon roll e scones caldi da riempire con burro e marmellata di frutti di bosco

Nota sulle mance

Quando vi recate al ristorante, nei prezzi che leggete sono già incluse le tasse.
Per il servizio al tavolo, la mancia non è dovuta e non rientra nella cultura islandese. Di sicuro un arrotondamento del conto fa sempre piacere, ma potete stare sotto al 5% oppure liberarvi della moneta spiccia.

New Nordic Cuisine


  • In danese si chiama Det nye nordiske køkken,
  • in svedese si chiama Det nya nordiska köket,
  • in norvegese Det nye nordiske kjøkken,
  • in finlandese Uusi pohjoismainen keittiö

In italiano la definiamo Nuova Cucina Nordica e stiamo parlando del movimento nato in Nord Europa, in particolare in Scandinavia, dal 2000 in poi, che incentiva l’uso di prodotti locali, naturali e stagionali per realizzare piatti nuovi che uniscano tradizione e modernità.
Per farvi capire quanto sia seria la rivoluzione portata avanti da questo movimento, nel 2005nell’ambito del Consiglio nordico, i ministri di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia hanno patrocinato il movimento mediante il “nuovo programma alimentare nordico” con finanziamenti di alcuni milioni di euro in attività per la realizzazione e la diffusione.

La nuova concezione di cucina nordica recupera le basi delle ricette tradizionali scandinave a base di pesce e carne e le rivisita attraverso l’uso di prodotti locali utilizzando, però, alcune tecniche antiche di queste terre, come la marinatura, l’affumicatura e la salatura. Una particolare attenzione viene posta nel preservare gli aromi naturali dei frutti della terra.

Quando vi siederete in un locale di New Nordic Cuisine a Reykyavik come a Copenhagen, non vi aspettate piatti elaborati nello stile della Novelle Cuisine, perché gli chef punteranno più sulla stimolazione dei vostri gusti tramite la freschezza e la genuinità di alimenti immancabili sulle tavole delle famiglie della zona, come le patate novelle, le fragole, i mirtilli, gli asparagi, le carni locali e il pesce freschissimo dei mari del Nord.

Al supermercato

C’è bisogno di rimarcare che mangiare fuori in Islanda costa?
Se, come me, amate assaggiare i cibi locali anziché portarvi la valigia di cartone piena di pasta e pomodoro, mettete in conto che il cibo è uno dei capitoli di spesa più ingombranti. Ma non disperate, perché c’è la possibilità di risparmiare durante i pasti leggeri per concentrare la spesa sul pasto principale, magari la sera.

L’alternativa più facile da gestire è fare la spesa nei supermercati che trovate lungo la strada, nei villaggi o nelle città per procacciarvi il cibo da consumare durante il pranzo (per la colazione, cercate di includerla nel pacchetto dell’hotel se non altro per comodità). Ci sono molte catene di supermercati in Islanda e imparerete presto a riconoscerli: alcuni sono più specializzati su cibi a lunga conservazione, mentre altri hanno un’ottima offerta di cibi freschi come frutta, verdura e pane.
Inoltre, non perdetevi l’ebrezza di entrare in vere e proprie celle frigorifere che preservano la temperatura dei cibi.

Cosa comprare? Più o meno quello che trovereste in un supermercato italiano, ma le cose più convenienti sono  quelle prodotte localmente, come l’agnello, il salmone e gli affettati.
Questi ultimi sono appesi a una parete tipo le viti in ferramenta: un po’ d’impatto, ma rende più semplice la scelta.
Chiaramente, se non avete una cucina o un fornelletto da viaggio, sceglierete cibi già precotti o affumicati, come il salmone in tantissime varianti.

Se vi piace sperimentare gli snack locali, ci sono le bustine di carne e pesce essiccati, che secondo me è sempre bene tenere in macchina quando si viaggia lungo la Ring Road. Anche se sembra più un animale della tradizione norvegese, provate la carne essiccata di renna di Egilsstadir.

Ma la parete verso cui vi suggerisco assolutamente di rivolgervi per trovare un buon alimento per il vostro pranzo o per uno spuntino è quella con il frigorifero degli Skyr! Se state pensando a quello che acquistiamo nei nostri supermercati siete fuori strada: buoni come quelli islandesi non ne ho trovati da nessuna parte… o forse ero solo affamato, non so.
Si tratta di un prodotto tipico della tradizione casearia dell’isola e consiste in un formaggio denso e cremoso a base di latte vaccino acido che sembra yogurt ma ricorda più la ricotta o il formaggio fresco spalmabile, pur non essendo nessuno di questi.
Quando parlo di “parete” del supermercato è perché ne troverete in tutte i gusti e in tutti i formati.

Rúgbrauð

Non è il nome di una divinità norrena, ma quello del tipico pane di segale islandese. Ha un colore scuro che ricorda un po’ il grovbrød norvegese ma se ne differenzia per il sapore leggermente dolce. Nella versione chiamata Geysir bread viene cotto sotto terra sfruttando le sorgenti geotermiche.
Per apprezzarlo pienamente, aspettate di arrivare affamati al ristorante e vedervelo servito come antipasto con il burro islandese da spalmarci sopra.
Ma se volete capire come riesca ad esaltare altri sapori, assaggiate i tipici antipasti composti da fette di pane di segale con salmone affumicato o formaggi freschi alle erbette.

Non nominate il McDonald!

In Islanda viene incentivata l’attività dei ristoratori locali a discapito delle grandi catene, che comunque non hanno vita facile a causa dei costi di approvvigionamento. Considerate che l’ultimo Mc Donald chiuse nel 2009 e che oggi i migliori hamburger vengono serviti nei ristoranti e nei bistrot locali utilizzando carne proveniente da allevamenti islandesi.
Se foste in astinenza da fast food, sappiate che oggi sono presenti poche sedi di KFC e di Subway, ma solo a Reykjavik e nel sud dell’isola.

L'immancabile salmone islandese
L'immancabile salmone islandese
Tra agnello sottovuoto e affettati appesi
Tra agnello sottovuoto e affettati appesi
Il pesce essiccato
Il pesce essiccato da mangiare come snack durante il viaggio

Le birre

Oltre il 60% del consumo di alcol in Islanda è costituito dalle birre, complici i prezzi alti dei superalcolici e del vino, ma anche la bontà dell’acqua che viene usata come materia prima per la produzione locale. Per gli islandesi la legalizzazione della birra è stata una grande conquista, tanto da istituire la festa del Beer Day (Bjórdagurinn) il 1° marzo di ogni anno.

I marchi di birra islandese più conosciuti sono:

  • La Víking, prodotta ad Akureyri e servita praticamente ovunque: la classica lager beverina che non prendi tanto per la qualità ma perché ti disseta e sta bene con tutto.
  • La Black Death è una Baltic Porter, tipica dei paesi baltici, prodotta dalla birreria Viking. Scura (ma non nera) con un gusto molto strutturato e potente che sa di malto, caramello, frutta secca e persino liquirizia. Ha un sentore di torrefazione con note di caffè e cioccolato e si presenta con una gradazione alcolica più alta delle altre.  Non va confusa con il tipico liquore islandese a base di patate!
  • La Einstök di Akureyri, produce principalmente una Toasted Porter e una “Arctic Ale”, che di fatto è una American Pale Ale luppolata: con un colore ambrato e un aroma speziato, al gusto fa emergere note luppolate, fruttate, floreali ed erbacee. È da provare, anche se personalmente non amo troppo il gusto caramellato, mentre non ho nulla da dire sulla Porter che si allinea perfettamente alla tradizione nordica.
  • Borg Brugghús, di Reykjavìk, è uno dei migliori produttori nazionali e produce un buon numero di birre con tanta personalità ispirate anche da oltre confine. Tra le birre più famose c’è la Surtur, caratterizzata da un aroma di cuoio, oltre a mais tostato, zucchero bruciato e toni di cioccolato, caffè forte e liquirizia. La Surtur prende il nome da Surtr, un diavolo gigante nella mitologia norrena destinato ad avere un ruolo importante durante il Ragnarök.
  • La Gull è una lager amarognola che sa di luppolo e frutta secca e va giù di un bene che non vi accorgerete di averla tracannata.
  • La birra Stedjar, infine, è un prodotto un po’ controverso: viene arricchita con carne di balena e questo fa alzare molte critiche da parte degli animalisti o dei movimenti che chiedono la fine della caccia al cetaceo gigante.

Nonostante una fiorente tradizione birraia, sull’isola vengono ancora importate grandissime quantità di birra dall’estero, in particolare proprio dalla Danimarca.

Andando invece sulla birra artigianale locale, non abbiate paura di assaggiare cosa vi viene offerto perché spesso ne vale lapena: ad Hofn, ad esempio, il pub Kaffi Hornid smercia la birra Vatnajojull che è fatta con acqua glaciale risalente a 1000 anni fa. Ora, se normalmente la birra stimola la pipì, voglio lasciarvi immaginare cosa può fare quella prodotta con acqua purissima di un ghiacciaio!

Life begins after coffee

Non poteva mancare la rubrica dedicata ai malati di caffè come me, che in Islanda si troveranno bene!
Qui il caffè c’è ed è pure buono. Agli islandesi piace e quindi sarà facile trovarlo, con un po’ di spirito di adattamento per quel che riguarda la diluizione, ma il sapore è buono, complice l’ottima acqua con cui viene preparato: pura ma ricca di minerali.
Troverete il caffè in tutte le lunghezze desiderate, dall’espresso (o qualcosa di simile) al caffè americano da portare in viaggio che manterrà una temperatura lavica per diverse ore. In alcuni bar troverete anche macchine per il caffè di marca italiana, ma ricordate che a rendere buono il caffè è l’arte di chi lo fa e non solo la meccanica.

Tra le specialità del posto c’è il Kaffi, ovvero il caffè bollente molto lungo e il Solarkaffi, che sarebbe un caffè aromatizzato al cumino: la tradizione vuole che venga bevuto in primavera per festeggiare il ritorno del sole dopo il lungo periodo di giornate corte invernali.

L’alcol

Come molti altri paesi del nord Europa, l’alcol è paragonabile a un bene di lusso.
Nella storia dell’Islanda, c’è il proibizionismo dal 1915 con il divieto assoluto di vendere alcolici.
Dal 1922 è diventato legale il vino e dal 1935 c’è stata l’apertura anche agli altri alcolici eccetto la birra con un tasso alcolico superiore al 2,25%. Ora capirete perché il 1° marzo, anniversario del giorno in cui, nel 1989, venne legalizzata anche la birra, in Islanda si celebra il “Beer Day”. Le ragioni del lungo divieto sono sia politiche (la birra era associata alla Danimarca da cui si voleva essere indipendenti), sia legate alla salute: il governo, infatti, ha ritenuto che una bevanda alcolica così semplice da diffondere e, per di più, economica avrebbe favorito il diffondersi dell’alcolismo tra i cittadini.

Oggi i negozi Vinbudin/ATVR, legati ai monopoli di stato e specializzati in alcolici che superino il 2,25% di gradazione, vendono il vino di importazione, ma il prezzo resta alto per via delle tasse imposte. Questo si spiega ancora una volta sia per il tentativo di non farlo diventare un vizio, sia per una questione di “fare cassa” a scapito di beni che sono considerati superflui per la vita dei cittadini. In Islanda, quindi, vi consiglio di evitare il vino, perché tanto non assaggereste nulla di locale, e di rivolgervi alle birre e ai distillati. Ah, l’età minima per acquistare alcolici è 20 anni.

Potrà essere fonte di critica per le mentalità più liberali, ma sta di fatto che la dipendenza dall’alcol in età adolescenziale era un problema che ha afflitto l’Islanda per tantissimi anni. Il programma “Youth in Iceland” e le regole severe sulla vendita degli alcolici hanno portato, nell’arco di 20 anni, ai risultati attuali per cui l’abuso di alcol non è più un problema per le nuove generazioni. C’è da dire che il primo passo è stato lavorare sulla “consapevolezza”, infatti la strategia vincente è stata la collaborazione tra i cittadini e lo Stato di fronte a un problema comune e riconosciuto.

Fatta questa doverosa premessa che ci aiuta a capire meglio il popolo che ci ospita, vediamo cosa offre l’Islanda in termini di alcolici. Il superalcolico per eccellenza è il Brennivin (letteralmente “vino che brucia“, chiamato anche svarti dauði ovvero “la morte nera“), una grappa ricavata dai cereali oppure dalla fermentazione delle patate, aromatizzata con semi di cumino. Si beve molto bene col fresco islandese… anche troppo, quindi non esagerate anche se appartiene a una fascia di prezzo molto accessibile rispetto agli altri superalcolici.

Altro cavallo di battaglia, un po’ più costoso, è la vodka Reyka, col vanto di essere prodotta con un processo sostenibile ed ecologico. Viene considerata, infatti, tra le più pure della Terra per il fatto di utilizzare acqua di sorgente che passa tra rocce vulcaniche. L’aroma è dolciastro, tipo vaniglia, il gusto è secco con note speziate e agrumate.

Nel periodo di Natale troverete lo Jólaöl, un distillato a base di estratto di malto e succo d’arancia.

Nelle sere fredde potreste provare un bicchierino di topas, ovvero un liquore scuro a base di erbe e liquirizia con una discreta gradazione alcolica. E se non ho capito male, il nome va declinato al femminile (questo normalmente genera l’ilarità degli italiani che chiedono “la topas“, ma ricordate che gli islandesi potrebbero non capire perché ridete).

Ah, un consiglio in chiusura: se voleste riportare qualche assaggio al ritorno dal vostro viaggio senza spendere troppo, riservatevi del tempo in aeroporto dove vengono vendute bottiglie in plastica di piccolo formato (il più pratico per il bagaglio a mano è da mezzo litro) con tutte le tipologie di superalcolici tipici dell’Islanda.

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